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Indebiti rimborsi di pasti a terzi a titolo di spese di rappresentanza: è danno erariale


Il legittimo utilizzo del denaro pubblico per finalità di rappresentanza istituzionale non può prescindere da una rigorosa e documentata giustificazione atta a dimostrare il collegamento tra l’esborso sostenuto e l’attività istituzionale svolta per le finalità promozionali dell’Ente.

La normativa prevede procedure di autorizzazione e di verifica molto rigorose, finalizzate alla preventiva valutazione della opportunità e congruità della spesa rispetto alle prioritarie finalità che l’Ente intende perseguire ed alle disponibilità economiche.

Le procedure di autorizzazione, lungi dall’avere mera valenza formale, sono, infatti, preordinate ad assicurare una preventiva valutazione delle ragioni, delle priorità e della necessità delle spese istituzionali, al fine di evidenziare i motivi di giustificazione dei costi delle stesse, in concreta attuazione dei principi di trasparenza, economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa

Questo il principio ribadito dalla Corte dei Conti, sez. centrale di Appello, con la sentenza n. 756 depositata il 27 dicembre 2018, con la quale è stato confermato il disposto della sentenza della sezione Veneto (17/2015) che aveva ritenuto non rimborsabili e, dunque, fonte di responsabilità erariale, le spese sostenute dagli amministratori per offrire pasti a soggetti terzi.

Nel caso di specie il Sindaco e il Vicesindaco si erano fatti rimborsare numerose spese per pranzi e cene, anche relative a soggetti terzi, in assenza di atti di preventiva autorizzazione alla spesa, sulla base di documentazione generica.

Per gli indebiti esborsi sono stati ritenuti responsabili il Sindaco, il Vicesindaco, nonché il Responsabile del Settore Affari Generali, che aveva provveduto alla liquidazione delle spese ingiustificate.

Le spese sostenute dagli amministratori per la ristorazione a soggetti terzi, infatti, non possono considerarsi “di missione”, né possono qualificarsi quale “spesa di rappresentanza”.

In particolare, la disciplina relativa alle spese di missione (art. 84 del Tuel) è chiara nel prevedere la possibilità di rimborso, entro stringenti limiti e secondo procedure ben definite, esclusivamente per le spese sostenute dall’Amministratore del Comune in missione e non per soggetti terzi, che a qualunque titolo si accompagnino a questi durante i pasti.

Pertanto, la normativa in materia non giustifica in nessun caso i rimborsi ottenuti dagli amministratori per le spese dei pasti di terzi, durante le missioni fuori del territorio comunale.

Allo stesso modo, non è possibile ritenere che dette spese rientrino tra quelle di rappresentanza.

La giurisprudenza contabile offre indicazioni chiare sulla nozione di “spesa di rappresentanza” e su quali siano le condizioni legittimanti l’utilizzo del denaro pubblico in relazione a tali finalità: le predette spese, per essere giustificate, richiedono una correlazione con eventi connotati da eccezionalità o comunque dall’esigenza di promuovere, verso l’esterno, l’immagine dell’Ente interessato (Corte dei conti, sez. contr. Lombardia, del. n. 244/2018; sez. Lombardia, del. n. 178/2017; sez. Lombardia, del. n. 200/2016; sez. Lombardia, del. n. 306/2015).

Leggi la sentenza
CC II Sez. Centrale Apello sent. 756 – 18


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