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Lazio, del. 76/2022- soccorso finanziario società partecipata e ricapitalizzazione


Un presidente di provincia ha avanzato un quesito in materia di divieto di soccorso finanziario, di cui ex art. 14, comma 5, d.lgs. 175/2016, c.d. Tusp, in favore di una società a partecipazione pubblica che ha registrato tre esercizi consecutivi in perdita.

In particolare, rispetto alla corretta interpretazione dell’art. 2447 c.c., richiamato nel comma 5 dell’art. 14 del Tusp e relativo alla riduzione di capitale sociale al di sotto del limite legale in ragione di perdite di esercizio, l’ente chiede di sapere se la misura di un’eventuale ricapitalizzazione debba essere contenuta al minimo legale o di maggiore importo.

Il comma 5 sopra citato, prevede, infatti, che le amministrazioni “(…) non possono, salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter, sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate (…) che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali”.

La Corte dei conti, sez. di controllo per il Lazio, nella deliberazione n. 76/2022, depositata il 7 giugno 2022, ha evidenziato che il tenore letterale dell’art. 6, comma 19, d.l. 78/2010 citato dall’ente nel quesito, non è sovrapponibile rispetto a quanto previsto dall’art. 14, comma 5 del Tusp, che in materia di divieto di soccorso finanziario, ha, invece, edificato un impianto maggiormente rigoroso introducendo il piano di risanamento, non contemplato nel testo normativo del 2010.

L’art. 2447 c.c., ricordano i magistrati contabili nella delibera in commento, “stabilisce che se, per la perdita di oltre un terzo del capitale sociale, questo si riduce al di sotto del minimo legale, l’organo amministrativo deve convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale sociale e il contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo, o la trasformazione della società”. I  magistrati, a tal proposito, elencano le alternative che società partecipata e socio pubblico sono chiamati a scegliere in caso di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale:

  • scioglimento della società mediante avvio fase liquidazione;
  • trasformazione da s.p.a. a s.r.l., ma solo se il valore del capitale sociale non risulti inferiore anche al minimo previsto per il tipo societario s.r.l.;
  • conservazione della s.p.a. mediante aumento del capitale sociale a una cifra non inferiore al minimo previsto dalla legge secondo quanto stabilito dall’art. 2447.

Sull’interpretazione dell’inciso “salvo quanto previsto dall’art.2447 c.c.” dell’art. 14, comma 5, del Tusp, e quindi sulle condizioni che legittimano il ripristino del capitale sociale minimo, i magistrati contabili evidenziano che questo “deve tener conto del fatto che il capitale sociale minimo rappresenta il presupposto logico-giuridico della conservazione dell’impresa societaria in crisi ‘grave’ e, quindi, del soccorso finanziario pubblico, da autorizzare con l’approvazione di un idoneo piano di risanamento o con l’adozione del d.p.c.m. previsto dall’ultimo periodo dell’art. 14, comma 5”.

Sul punto, nella delibera in commento viene evidenziato come la giurisprudenza contabile, in passato, avesse già affermato ben prima dell’entrata in vigore del Tusp, l’esigenza di subordinare il ripristino del capitale sociale minimo alla sussistenza di effettive prospettive di risanamento della società partecipata, concependo la clausola di salvezza prevista dall’art. 2447 c.c. come “utilizzabile nell’ottica della continuità imprenditoriale e non nella fase liquidatoria, in cui tale continuità è ormai esclusa. (…)”.  Il rifinanziamento, pertanto, è ammesso solo nella prospettiva della prosecuzione dell’attività sociale, in coerenza con un programma industriale o un business plan di medio lungo periodo; di contro, la possibilità di effettuare finanziamenti straordinari è vietata nei confronti di società che non sono più in grado di proseguire, utilmente, la loro gestione caratteristica (Sez. reg. contr. Lombardia, n. 106/2017).

Infatti, l’introduzione del divieto di soccorso finanziario ha “imposto l’abbandono della logica del salvataggio a tutti i costi della società a partecipazione pubblica, attesa la necessità di conformare l’andamento societario ai canoni di efficiente gestione delle partecipazioni, tutela del mercato e della concorrenza (…) razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica oltre che del numero delle società partecipate”

Pertanto, “la clausola di salvezza di cui all’art. 2447 c.c. deve essere interpretata in maniera coerente con le disposizioni pubblicistiche del Tusp e i principi generali dell’azione amministrativa, potendosi affermare la regola, solo generale, di ricapitalizzazione nella misura del minimo legale, con possibilità di deroghe che tengano conto delle specificità del caso concreto” previste nel piano di risanamento, “idonee a giustificare una ricapitalizzazione di maggiore entità, fermo restando, in ogni caso, l’onere di motivare analiticamente l’operazione, ai sensi dell’art. 5 del Tusp” (Sez. reg. contr. Liguria, n. 24/2017Sez. reg. contr. Veneto, n. 18/2021).

 

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CC 76-2022 Lazio_self enti-locali

 

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