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Testo unico società a partecipazione pubblica: le novità del decreto correttivo ed i nuovi adempimenti


Passando all’art. 5  TUSP  il correttivo abroga nell’analitica motivazione valutazioni “….. in considerazione della possibilità  di destinazione alternativa delle risorse pubbliche  impegnate”. Abrogazione che non ha trovato consensi né nel parere del Consiglio di Stato e neppure dall’Anac, espressa nell’audizione del Presidente Cantone alla Camera dei Deputati che ha avuto modo di affermare: “- l’eliminazione dell’obbligo di motivare la scelta societaria anche con riferimento alla “possibilità di destinazione alternativa delle risorse pubbliche impegnate”. Si segnala che il Consiglio di Stato ha espresso la propria contrarietà, rilevando, fra l’altro, che in tal modo verrebbe meno “l’unico onere motivazionale effettivamente stringente per l’attività di acquisto presso terzi delle partecipazioni sociali”. Le osservazioni formulate dal Consiglio di Stato appaiono condivisibili.

Infatti il Consiglio di Stato afferma: A parere della Commissione speciale, la soppressione di questa locuzione determinerebbe un’attenuazione dell’obbligo di analitica motivazione giustamente richiesto dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 175, e si porrebbe in contrasto con applicazione il “vincolo di scopo” relativo al rispetto delle finalità istituzionali pubbliche. Nel testo del decreto vigente è stato recepito soltanto quest’ultimo rilievo e non anche gli altri sopra esposti. In questa sede, la Commissione speciale ribadisce le rilevanti criticità già evidenziate — soprattutto in relazione alla possibile violazione del principio di legalità e alla dubbia sussistenza di un fondamento nella legge di delega — al fine di una loro valutazione in sede di predisposizione del decreto correttivo.”

A giudizio di chi scrive invece la abrogazione appare opportuna al fine di sgombrare il campo da una difficile analisi che se condotta con i crismi della scienza economica si sarebbe dovuta avvicinare e alle valutazioni delle scelte stocastiche dell’investitore fra forme alternative; valutazioni che nulla hanno a che  vedere con una pubblica amministrazione.

Passando art. 11 del TUSP si ravvia una delle novità più oggetto di interesse da parte dei media contenute nel novellato comma terzo che è riformulato nel senso di demandare all’assemblea di ogni singola società a controllo pubblico la decisione di derogare al principio secondo cui l’organo amministrativo della società a controllo pubblico è costituito, di norma, da un amministratore unico (ai sensi del co. 2). Tale determinazione deve essere assunta con delibera motivata in relazione a specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa e tenendo conto delle esigenze di contenimento dei costi. Quanto all’organo amministrativo della società, l’Assemblea può ricorrere al consiglio di amministrazione, composto da tre o cinque membri, o può, in alternativa, ricorrere a forme di governance alternative (quella di tipo dualistico o quella di tipo monistico). La delibera è trasmessa alla Corte dei Conti e alla struttura del Ministero dell’economia e delle finanze cui spetta il controllo e il monitoraggio sull’attuazione del testo unico.

Modifica invocata da più parti  che non ha trovato tuttavia d’accordo Anac che cosi si è espressa in sede  di Audizione alla Camera. “ Tale ultima modifica merita una riflessione; infatti, la precedente formulazione – che prevedeva la definizione tramite DPCM dei criteri in base ai quali, per ragioni di adeguatezza organizzativa l’assemblea della società a controllo pubblico potesse disporre che la società fosse amministrata da un consiglio di amministrazione composto a tre o cinque membri ovvero che fosse adottato un modello di governance diverso – appariva adeguata a garantire una omogeneità nell’azione delle assemblee delle società a controllo pubblico. La modifica rimette, invece, a ciascuna assemblea societaria la decisione in merito all’amministrazione della società, prevedendo esclusivamente un obbligo motivazionale.”.

Tale novità spingerà le assemblea dei soci a trovare le adeguate motivazioni per sostenere un organo di amministrazione collegiale e non monocratico – che storicamente non ha mai soddisfatto le esigenze di una molteplicità di soci ognuno dei quale nutriva i più svariati legittimi motivi per vantare un rappresentante nell’organo di amministrazione nella società partecipata.

Passando art. 16  ci si deve soffermare sulla nuova formulazione della attività “extramoenia” prevista per le società in house e contenuta nel  nuovo comma 3 bis sul quale la Relazione illustrativa afferma: “Parimenti, non è stata accolta l’osservazione, sempre del Consiglio di Stato, volta a prevedere, per le società in house, la delimitazione dell’oggetto sociale anche per le attività poste al di fuori dell’attività prevalente (oltre l’80%). Al riguardo, si ritiene che la destinazione delle attività ulteriori non deve necessariamente parametrarsi sulle medesime attività che vengono, invece, imposte e garantite per l’attività prevalente, quale requisito necessario dell’in house providing”

Passando alla disciplina del personale di cui all’art. 19 e 25  del TUSP si rileva che per le amministrazioni titolari di partecipazioni di controllo in società, viene riconosciuta la facoltà di riassorbimento del personale già in precedenza dipendente dalle amministrazioni stesse con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza che ciò rilevi nell’ambito delle facoltà assunzionali disponibili e a condizione che venga fornita dimostrazione, certificata dal parere dell’organo di revisione economico-finanziaria, che le esternalizzazioni siano state effettuate nel rispetto degli adempimenti previsti dalla normativa vigente.

All’art. 21, che si ricorda determina la disciplina delle relazioni finanziarie fra socio Pubblica amministrazione e società a partecipazione pubblica, viene inserito una ulteriore comma che dispone:  “ 3-bis. Le pubbliche amministrazioni locali partecipanti possono procedere al ripiano delle perdite subite dalle società partecipate con le somme accantonate ai sensi del comma 1, nei limiti della loro quota di partecipazione e nel rispetto dei principi e della legislazione dell’Unione europea in tema di aiuti di Stato.” Sull’argomento si rilevano interessantissime osservazioni del Consiglio di Stato che prendendo atto che l’accantonamento di fatto risulta azione sterile, in quanto per poter procedere al materiale ripianamento della perdita dovrebbero superarsi gli stringenti divieti contenuti nell’art. 14 comma 5 del TUSP richiederebbe all’Esecutivo una riforma della disciplina. Infine sempre dal parere dei Consiglio di Stato si rileva che le società le cui perdite sono oggetto di accantonamento a fondo del bilancio della pubblica amministrazione socia, sono quelle iscritte nell’elenco istat, richiamato dall’art. 21 del TUSP, e quindi inserite  nel conto economico consolidato dello Stato.

 

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Le pubbliche amministrazioni che partecipano a società di capitali dovranno modificare l’agenda degli adempimenti spostando il termine per predisporre la revisione straordinaria delle società partecipate al 30/09/2017 nell’ambito del quale dovranno definire le scelte da prevedere e potranno attivare un programma di razionalizzazione della partecipata che possa svilupparsi nel tempo;

Per le società che non raggiungono il limite del fatturato del milione di euro ma raggiungono unicamente il limite di 500.000,00 euro e che rispondo ai criteri di efficienza efficacia ed economicità di cui all’art. 5 del TUSP vi è un periodo triennale per verificare la possibilità di sviluppare nuovi ricavi fino a raggiungimento del limiti di legge (in merito alla nozione di fatturato si veda Corte Conti Emilia Romagna del 28/03/2017 n, 54/2017/PAR). Per le società che svolgono servizi a rete è consentito sia l’acquisizione di servizi analoghi anche fuori territorio che procedere a processi  aggregativi attraverso i quali “l’operatore economico succeduto al concessionario iniziale, in via universale o parziale, a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, fermo restando il rispetto dei criteri qualitativi stabiliti inizialmente, prosegue nella gestione dei servizi fino alle scadenze previste.”(art. 3 bis, comma 2 bis del D.L. 138/2011). Quindi via libera senza timore di decadenza dell’affidamento del servizio a rete (anche in house) a operazioni di fusioni, scissioni, acquisizioni di rami di azienda, aumenti di capitale sociale dedicati a nuovi soci.

Il fenomeno cui si assisterà sarà una inevitabile accrescimento dimensionale delle società a partecipazione pubblica a fronte di una riduzione del loro numero con nuovi modelli aziendali che si caratterizzeranno da una discontinuità con il passato.

In questo senso sarebbe auspicabile la sollecita emanazione del decreto del ministro dell’Economica, previsto dall’art. 6 del TUSP, che prevede: “ il limite dei compensi massimi al  quale gli organi di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi  e  trasparenti,  per  la  determinazione  del  trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere  il  limite  massimo  di euro  240.000  annui  al  lordo  dei   contributi   previdenziali   e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario”, in quanto disposizione che non è stata incisa dal decreto correttivo e che potrebbe essere utilizzata per la determinazione dei compensi per i nuovi amministratori e manager che saranno oggetto delle nomine in sede di approvazione di bilancio anche in vista delle nuove entità che si verranno a creare con i meccanismi aggregativi/espansivi di cui si fatto cenno. Con ciò evitando di cadere nell’angusta interpretazione del regime transitorio in attesa del Decreto ministeriale, come previsto dall’art. 11 comma 7 del TUSP, che trova più di una incertezza sui limiti applicabili ai compensi.  In ogni caso, se dovesse rimanere detto regime transitorio, che rinvia in modo non chiaro alle società pubbliche cui applicare i limiti contenuti “…. all’articolo 4,  comma 4,  secondo periodo, del decreto-legge 6 luglio  2012,  n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,  n.  135, e successive modificazioni, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 24 dicembre 2013, n. 166” ( il limite dell’80% del compenso corrisposto al 2013) si dovrà giungere alla conclusione che, a fronte dei processi di espansione e di aggregazione dimensionale cui corrisponderanno nuove e maggiori responsabilità per gli amministratori delle società pubbliche, le nuove entità che risulteranno da tali processi dovranno applicare i limiti di cui all’art. dall’art. 1 comma 725 della legge finanziaria 2007 (L. 296/2006) in quanto si  è definito un nuovo soggetto, quantomeno dal punto di vista economico aziendale, per il quale la storia pregressa dei compensi erogati – nell’esercizio 2013 – non ha più rilievo in quanto  riferito a soggetto che nel tempo è mutato.


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