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Abruzzo, del. n. 181 – Spesa personale in comando: questione di massima


Un sindaco ha chiesto se la spesa relativa al personale utilizzato in posizione di comando debba essere considerata nel computo delle spese assoggettate al vincolo dell’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010.

I magistrati contabili dell’Abruzzo, con la deliberazione 181/2016, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 13 ottobre, hanno rilevato l’esistenza di un contrasto interpretativo riguardo l’assoggettabilità dell’istituto del comando all’ambito applicativo dell’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010.

Secondo la sezione Lombardia, “il comando ha gli stessi effetti funzionali ed economici di un’assunzione a tempo determinato” e, dunque, opera il vincolo di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. 78/2010 (in termini, Corte dei Conti, Sez. Contr. Lombardia, deliberazioni n. 557/2013, n. 187/2012 e n. 671/2010).

Diversamente, la sezione Toscana, con la deliberazione n. 6/2012, ha ritenuto che “le acquisizioni di personale in comando non possono formalmente essere annoverate tra le forme a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa il cui utilizzo è limitato dall’art. 9, comma 28”.

Si deve, altresì, precisare che la Sezione Autonomie, con la recente deliberazione n. 23/2016, ha chiarito che l’utilizzo di personale “comandato” presso i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti (ex art. 1, comma 557, della legge 311/2004) non costituisce lavoro flessibile e pertanto non rientra nei limiti di spesa disciplinati dall’articolo 9, comma 28 del d.l. 78/2010.

Secondo i magistrati dell’Abruzzo, in applicazione del principio di neutralità finanziaria, la spesa relativa al personale utilizzato in posizione di comando non rientra nell’ambito applicativo di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. 78/2010, a condizione che l’Ente cedente non proceda alla “copertura” del posto lasciato disponibile dal dipendente comandato (con il conseguente onere, in capo all’Ente utilizzatore, di verificare il rispetto della predetta condizione presso l’Amministrazione cedente).

Inapplicabilità che deriverebbe anche dalla circostanza che il comando non è assimilabile ad una nuova assunzione di personale.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, infatti, la posizione di comando del pubblico dipendente non determina la creazione di un nuovo rapporto di impiego, in sostituzione di quello precedente, ma semplicemente una modifica del solo rapporto di servizio, nel senso che le prestazioni di lavoro vengono fornite ad un’Amministrazione diversa da quella di appartenenza (Cons. St., sent. n. 5542/2003; Cons. St., sent. n. 322/2001).

Parimenti, la Corte di Cassazione ha affermato che “La posizione di comando di un dipendente da ente pubblico economico presso una amministrazione pubblica non comporta, a differenza del distacco, alcuna alterazione del rapporto di lavoro, ma ne implica una rilevante modificazione in senso oggettivo, giacché il dipendente, immutato il rapporto organico con l’ente di appartenenza, viene destinato a prestare servizio, in via ordinaria e abituale, presso un’organizzazione diversa, con modifica del rapporto di servizio” (Cass. Civ., Sez. Lav., 29 agosto 2014, n. 18460).

Considerata l’esigenza di un’interpretazione uniforme, la questione è stata rimessa alla Sezione delle Autonomie.

Leggi la deliberazione
cc-sez-controllo-abruzzo-del-n-181-16


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