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Servizi pubblici: alcune riflessioni su in house e servizio farmacia


Di Federica Caponi

L’abrogazione dell’art. 23-bis del Dl. n. 112/08 ha sostanzialmente azzerato la copiosa produzione legislativa che dal 2008 ha interessato la materia dei servizi pubblici a rilevanza economica.

Pur se formalmente dovremmo far riferimento ai principi comunitari, nella sostanza le regole per l’affidamento all’esterno della gestione di tali servizi sono quelle che conoscevamo e applicavamo prima del 25 giugno 2008, cioè quelle contenute nell’art. 113 del Tuel.

A livello comunitario infatti nel caso in cui l’Ente pubblico non intenda svolgere direttamente il servizio, la gestione dello stesso può essere affidata, alternativamente:

–          a un operatore economico, individuato con procedure a evidenza pubblica;

–          a società miste, costituite con gara “a doppio oggetto”, ove il socio privato sia stato scelto quale socio operativo;

–          direttamente a una società partecipata, secondo il modello dell’in house providing, nel rispetto delle condizioni definite per la prima volta dalla Corte di Giustizia europea nella sentenza “Teckal” del 1999.

Insomma, le regole contenute nel comma 5 dell’art. 113, del Tuel, riconoscevano ai Comuni la facoltà di scegliere tra i tre modelli gestionali sopra indicati, ritenuti alternativi tra loro.

Tra l’altro, il Consiglio di Stato, proprio in una recentissima pronuncia, in merito a un servizio pubblico a rilevanza economica ha chiarito che “per questi, l’affidamento deve avvenire sul mercato, secondo i principi costituzionali e comunitari, di cui costituisce codificazione l’art. 113, del T.U. n. 267/00, sicché, o l’affidamento avviene a società “in house”, o a privati scelti con gara, o a società miste il cui socio privato sia scelto con gara. Tali regole, per la loro portata di principi desumibili dalla giurisprudenza comunitaria, dovevano ritenersi applicabili anche prima della loro formale codificazione all’interno dell’ordinamento nazionale” (Cons. Stato, sez. V, sent. 3815/11).

Pertanto, i Comuni dopo il 13 giugno [anche se l’avvenuta abrogazione delle norme oggetto del referendum deve essere sancita con Decreto del Presidente della Repubblica (ex art. 37, Legge n. 352/70), che deve essere (ancora) pubblicato sulla G.U. L’abrogazione infatti ha effetto a decorrere dal giorno successivo a quello della pubblicazione, ma il Presidente della Repubblica, nel medesimo Decreto e su proposta del Ministro interessato, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, può ritardare l’entrata in vigore dell’abrogazione per un termine non superiore a 60 giorni dalla pubblicazione] potranno:

–      nel caso in cui siano soci di partecipate interamente pubbliche, mantenerne la proprietà interamente in mano pubblica e far arrivare a scadenza naturale gli affidamenti in essere disposti prima del giugno 2008;

–        valutare quale modalità, tra quelle sopra indicate, costituisce la scelta migliore per la gestione dei propri servizi, senza dover necessariamente seguirne una piuttosto che l’altra.

Ovviamente, tutte le scelte compiute dagli Enti pubblici (non solo quelle relative alle modalità organizzative dei servizi pubblici dopo il referendum) devono essere motivate al fine di evidenziare le ragioni di fatto e di diritto che attestino che quanto deciso risponde a precise condizioni di efficacia, efficienza ed economicità.

Per affidare direttamente un servizio a una società in house, i Comuni non dovranno più chiedere il parere all’Antitrust, ma certamente anche se non è più obbligatoria un’attenta “indagine di mercato”, dovranno comunque verificare (come sempre) attraverso un preciso e analitico piano economico-finanziario la fattibilità dell’operazione e soprattutto la convenienza complessiva di tale scelta rispetto ad altre ugualmente legittime.

Non dovranno più “ufficialmente” verificare la tenuta delle gestioni in essere al 26 ottobre 2011 (vincolo contenuto nel Dpr. n. 168/10), ma le attuali gestioni in essere secondo il modello dell’in house providing e le società miste, il cui socio non sia stato scelto con gara, già con la delibera di autorizzazione al mantenimento approvata dagli Enti al 31 dicembre 2010 avrebbero dovuto essere “testate”, da un punto di vista, non soltanto “formale” ma soprattutto di legittimità sostanziale e convenienza degli affidamenti in essere.

Pertanto, il primo risultato del referendum, forse, è proprio quello di consentire agli Enti di scegliere liberamente, in base alle loro caratteristiche e condizioni, assumendosene pienamente e consapevolmente la connessa responsabilità, un elemento che dovrebbe costituire un principio cardine del più volte “annunciato” federalismo.

Ricordiamo però che rimangono sempre i vincoli “quantitativi” posti dall’art. 14 del Dl. n. 78/10, diversi per gli Enti sotto 30.000 abitanti e per quelli che hanno una popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti.

Altra questione problematica, posta dall’abrogazione dell’art. 23-bis, riguarda il servizio di farmacia comunale.

Molti autorevoli autori hanno sostenuto che tale abrogazione non abbia prodotto alcun effetto relativamente a tale servizio, in quanto quest’ultimo continuerebbe ad essere assoggettato alla disciplina contenuta nella Legge n. 475/68.

Tale interpretazione non appare condivisibile, in quanto l’esclusione del servizio di farmacia comunale dalle norme in materia di servizi pubblici è stata introdotta nell’art. 23-bis dal Decreto Ronchi, entrato in vigore il 25 novembre 2009 (Legge n. 166/09, di conversione del Dl. n. 135/09).

Prima di tale data il servizio di farmacia comunale era considerato (correttamente) dagli interpreti, ma soprattutto dalla giurisprudenza, disciplinato dalle disposizioni relative ai servizi pubblici locali aventi rilevanza economica, tant’è che molti Enti gestiscono tale servizio attraverso società di capitali in house e non secondo i modelli gestionali previsti dall’art. 9 della citata Legge n. 475/68.

L’art. 12, comma 1, della Legge n. 498/92, ha infatti stabilito che l’organizzazione secondo la tipologia societaria del servizio farmaceutico comunale può essere attuata anche in deroga a quanto previsto dall’art. 9, comma 1, lett. d) [“società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità”] della Legge n. 475/68.

Tale disposizione, infatti, prevede espressamente che “le province e i comuni possono, per l’esercizio di servizi pubblici (…) costituire apposite società (…) anche in deroga a quanto previsto dall’ articolo 9, primo comma, lettera d), della L. 2 aprile 1968, n. 475 come sostituita dall’ articolo 10 della L. 8 novembre 1991, n. 362. Gli Enti interessati provvedono alla scelta dei soci privati e all’eventuale collocazione dei titoli azionari sul mercato con procedure di evidenza pubblica. L’atto costitutivo delle società deve prevedere l’obbligo dell’ente pubblico di nominare uno o più amministratori e sindaci. Nel caso di servizi pubblici locali una quota delle azioni può essere destinata all’azionariato diffuso e resta comunque sul mercato”.

Pertanto, gli Enti locali dal 1992 possono organizzare la gestione del servizio di farmacia comunale in deroga a quanto previsto dalla citata Legge del 1968.

Tale norma è considerata anche dalla giurisprudenza maggioritaria non più applicabile in quanto il servizio di farmacia comunale è pacificamente considerato assoggettato alle disposizioni e ai principi nazionali e comunitarie che regolano la materia dei servizi pubblici a rilevanza economica.

Le norme che regolano “l’intera materia delle forme giuridiche di prestazione dei servizi pubblici locali hanno determinato l’abrogazione delle leggi anteriori che disciplinavano le forme di prestazione di singoli servizi, come l’art. 9, comma 1, della Legge n. 475/68, secondo cui le farmacie di cui sono titolari i Comuni potevano essere gestite, tra l’altro, a mezzo di società di capitali costituite tra il Comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, avessero prestato servizio presso farmacie di cui l’Ente aveva la titolarità”(Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 2110/07).

Infatti, è stato il Decreto Ronchi (Dl. n. 135/09) che ha previsto il richiamo espresso alla Legge n. 475/68 per la disciplina delle farmacie comunali e tale inciso è stato introdotto dal Legislatore (oggi lo possiamo dire chiaramente) esclusivamente per “salvare” le società in house esistenti che non rispettando i vincoli posti dall’art. 23-bis avrebbero dovuto cessare i loro affidamenti al 31 dicembre 2011 o aprire obbligatoriamente ai privati.

E sicuramente molte in house o società miste esistenti, che gestiscono il servizio di farmacia comunale, senza quell’inciso che le escludeva dalle fattispecie interessate dal comma 8 dell’abrogato art. 23-bis, sarebbero state obbligate all’apertura in quanto erano state costituite senza rispettare quanto disciplinato dalla Legge n. 475/68.

Pertanto, non appare coerente l’interpretazione (sostenuta dai più) che ritiene che oggi gli Enti, nonostante l’abrogazione dell’art. 23-bis, siano ancora vincolati al rispetto della Legge n. 475/68, mentre non lo erano prima del 25 novembre 2009.

Delle due l’una o gli Enti locali per la gestione delle farmacie comunali avrebbero dovuto essere sempre assoggettati alla (presunta) disciplina speciale contenuta nella disposizione del 1968 [nonostante tale disposizione sia relativa a Norme concernenti il servizio farmaceutico] oppure tale norma non costituisce norma speciale (come invece può essere correttamente definito ad esempio il Dlgs. n. 164/00, concernente “Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144”) e la sua applicazione al servizio di farmacia comunale ha avuto efficacia esclusivamente in virtù del richiamo espresso contenuto nell’art. 23-bis del Dl. n. 112/08 e pertanto dal 25 novembre 2009 al giugno 2011.

Prima e dopo tali date il servizio di farmacia comunale è assoggettato alle disposizioni e ai principi comunitari che vincolano la gestione dei servizi pubblici locali.

Si ricorda infine che questi temi e molte altre questioni saranno discusse nel seminario di studi che SELF e ANCI Toscana organizzano a Firenze il 6 luglio 2011.

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