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Buono pasto: spetta con orario di lavoro superiore a 6 ore


Ai fini del riconoscimento del buono pasto a un dipendente adibito a turni, il diritto a usufruire della pausa di lavoro va riconosciuto a prescindere dal fatto che la stessa avvenga nelle fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto ovvero in fasce per le quali il pasto possa essere consumato prima dell’inizio del turno.
Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con l’ordinanza n. 32113 del 31 ottobre 2022, con la quale è stato accolto il ricorso proposto avverso sentenza della Corte d’Appello, da un gruppo di dipendenti turnisti, con mansione di infermieri, ai quali l’Azienda Sanitaria Provinciale di appartenenza non aveva riconosciuto il buono pasto in determinati turni lavorativi.
La Corte d’Appello aveva confermato il diniego disposto dal Tribunale in I grado alla richiesta avanzata dai dipendenti di beneficiare dei buoni pasto sostitutivi del servizio mensa per ogni turno lavorativo eccedente le sei ore.
I ricorrenti hanno proposto ricorso in Cassazione evidenziando, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, c. 2, del d.lgs. 66/2003, in ragione del fatto che “il solo superamento delle sei ore lavorative farebbe automaticamente sorgere il diritto alla pausa pranzo e, quindi, al buono pasto indipendentemente dalle concrete modalità di svolgimento del turno di lavoro e anche in mancanza di una specifica domanda del lavoratore a fruire della pausa pranzo/cena”.
“In tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, è diretta a (…) garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa quando l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato” (Cass. n. 5547/2021).
La Cassazione, nell’ordinanza in commento, ha ritenuto fondati tali motivi evidenziando che, in base alla citata disposizione normativa:
– il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto;
– le modalità e la durata della pausa sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro (in difetto di disciplina collettiva, la durata non è inferiore a dieci minuti) e devono tenere conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.
Secondo l’ordinanza in commento, la sentenza impugnata deve essere annullata, in quanto, attribuendo rilevanza alla circostanza che i lavoratori non avessero mai richiesto la fruizione del servizio mensa fuori dell’orario di lavoro, si è discostata dai principi suesposti.
La Suprema Corte, accertato, quindi, il diritto alla fruizione dei buoni pasto per ogni turno lavorativo eccedente le sei ore, e tenuto conto che il pasto non è monetizzabile ai sensi della disciplina vigente, conclude segnalando che il giudice del rinvio, dovrà valutare se attribuire “il bene della vita invocato”, se del caso anche a titolo di risarcimento del danno.
La Cassazione ha, quindi, cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d’Appello.

 

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