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Mansioni superiori, confermato il diritto alla retribuzione corrispondente alla qualifica superiore


In materia di pubblico impiego contrattualizzato, lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica – anche non immediatamente – superiore a quella di inquadramento formale comporta in ogni caso, in forza del disposto dell’art. 52, comma 5, d.lgs. del 30 marzo 2001, n. 165, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore; tale diritto non è condizionato alla legittimità dell’assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all’operativa del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.

Questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione civile, sez. Lavoro, nell’ordinanza n. 1496, depositata il 18 gennaio 2022.

Nel caso di specie, l’INPS aveva proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma che, confermando la pronuncia di primo grado, riconosceva in favore di una dipendente dell’Istituto di previdenza il diritto ad ottenere le differenze retributive per il periodo in cui aveva svolto mansioni corrispondenti alla categoria C, posizione economica C3, superiori rispetto all’inquadramento formale in B.

La lavoratrice, come evidenziato già dalla Corte territoriale, aveva svolto l’intero procedimento preordinato al recupero crediti, con l’istruzione delle pratiche relative alle ispezioni svolte da altri enti e dagli ispettori dello stesso INPS presso le aziende, svolgendo attività che consistevano nell’effettuare controdeduzioni e calcoli e nella valutazione circa la possibilità di interrompere i termini prescrizionali, di accettare richieste di sgravio ovvero di provvedere al recupero dei crediti, dimostrando una approfondita conoscenza dei contratti di lavoro ed una attitudine al problem solving, tali da escludere che si trattasse di attività eseguite sulla base di procedure rigide. La Corte territoriale aveva rimarcato, altresì, l’avvenuto affidamento alla dipendente di una stagista, il che dimostrava come l’attrice fosse diventata un punto di riferimento per i colleghi e per la direzione in ordine alla lavorazione dei verbali dell’ente e delle denunce dei lavoratori.

I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso, ritenendo non fondati entrambi i motivi di ricorso prospettati dall’INPS.

Secondo l’ordinanza in commento, in primo luogo, la deduzione del ricorrente che sollecitava un’interpretazione della disciplina delle mansioni superiori svolte di fatto (art. 52, c. 5, del d.lgs. 165/2001) che limita il riconoscimento delle differenze retributive al solo svolgimento delle mansioni immediatamente superiori, deve essere disattesa in quanto ciò contrasterebbe, anche nell’ambito del rapporto di impiego pubblico privatizzato, con i principi di cui agli artt. 36, 97 e 98 della Costituzione.

In secondo luogo, la Corte di Cassazione ha ritenuto non fondata la critica dell’INPS rivolta alla Corte d’Appello laddove ha ritenuto che per il riconoscimento delle mansioni superiori non fosse necessario l’effettivo svolgimento di tutte le fasi del processo produttivo e l’esercizio dei relativi poteri (con correlate responsabilità), ma bastasse espletare anche soltanto una funzione purché con modalità da configurare i requisiti del superiore livello.

A parere dei giudici di legittimità, infatti, la sentenza di appello ha correttamente interpretato le disposizioni contrattuali con particolare riferimento alla declaratoria dell’Area C del Ccnl. Enti pubblici economici del 1999: al dipendente di questa categoria è richiesta “la competenza allo svolgimento di ogni fase del processo produttivo dell’atto finale, senza onerarlo dell’assunzione della relativa responsabilità”.

 

Leggi la sentenza

Cassazione 1496-2022: mansioni superiori pubblico impiego

 

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