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Personale: il vincolo di permanenza non è un vincolo…


Il vincolo di permanenza di 5 anni presso l’ente, previsto dall’art. 3, comma 7-ter del d.l. 80/2021,  non opera “qualora l’amministrazione rilevi, in un’ottica di ottimizzazione delle risorse, che una diversa allocazione e distribuzione del personale sia maggiormente rispondente alle proprie esigenze organizzative e funzionali. In ragione di ciò, è evidente che l’ambito di applicazione della norma in esame non può in alcun modo riflettersi nell’imposizione di vincoli paralizzanti per l’amministrazione che ne impediscano o limitino scelte, assunte assicurando trasparenza e uniformità di trattamento, che siano finalizzate al perseguimento della maggiore efficienza”.

Questo il chiarimento fornito dalla Funzione pubblica a un Comune che aveva chiesto al Dipartimento un parere in ordine all’interpretazione della citata disposizione contenuta nell’art. 3 del d.l. 80/2021, che ha imposto ai dipendenti neo assunti presso gli enti locali l’obbligo di permanenza nella stessa sede di prima assegnazione per almeno cinque anni.

La Funzione pubblica ha preliminarmente rilevato che l’obbligo quinquennale di permanenza nella sede di prima destinazione per i vincitori dei concorsi, esiste da tempo nell’ordinamento generale del lavoro pubblico ed è finalizzato a garantire che l’allocazione dei neo assunti sia effettivamente rispondente alle esigenze organizzative e funzionali dell’ente interessato, che sono state evidenziate nell’atto di programmazione del fabbisogno professionale, con conseguente attivazione delle procedure di reclutamento, con il correlato impegno di risorse finanziarie.

Nel parere in commento, il Dipartimento della Funzione pubblica ha anche fornito (per la prima volta) un’interpretazione “alquanto estensiva” di tale obbligo, sostenendo che lo stesso può essere declassato a mera eventualità qualora per l’amministrazione, una diversa allocazione e distribuzione del personale, sia maggiormente rispondente alle proprie esigenze organizzative e funzionali.

Pertanto, il vincolo di permanenza esiste ma gli enti possono superarlo laddove lo ritengano non funzionale.

Interpretazione sicuramente “innovativa” sotto molti punti di vista, primo tra tutti giuridico, visto che secondo l’art. 12 delle preleggi “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”. L’interpretazione fornita dalla funzione pubblica non appare certo “conforme” a tale assunto.

Appare curiosa comunque anche la motivazione che gli enti sembrerebbero chiamati a sostenere. A fronte di un’assunzione effettuata a seguito di espletamento di un concorso o scorrimento di graduatorie, l’ente potrebbe “averci ripensato” e non aver più bisogno di quella nuova risorsa. Una volta quindi tornato libero quel posto, il fabbisogno dell’ente dovrebbe quindi essere aggiornato conseguentemente, evidenziando altre e diverse esigenze assunzionali.

 

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FP Parere 103321 (mobilità volontaria e assunzione)

 


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