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Riammissione in servizio dopo assoluzione in giudizio, sta all’ente disporre la riammissione


In caso di assoluzione in giudizio del dipendente sospeso obbligatoriamente dal servizio in ragione di una condanna per il reato di peculato, “è a carico dell’amministrazione l’obbligo di assumere le determinazioni conseguenziali ovvero di disporre la riammissione in servizio del dipendente, con atto ricognitivo del venir meno della causa di sospensione (…).”;“(…)la riattivazione della funzionalità del rapporto di lavoro presuppone, a tutela di una fondamentale esigenza di certezza giuridica, oltre che in applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, il previo formale invito a riprendere servizio, diretto dalla amministrazione datrice di lavoro al dipendente.”

Questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione civile, sez. Lavoro, nella sentenza n. 5813, depositata il 22 febbraio 2022, con la quale è stato accolto il ricorso di un dipendente, agente di polizia locale, di un comune avverso la sanzione della sospensione sanzione del licenziamento irrogata dal datore di lavoro.

Nel caso di specie, nei confronti della ricorrente erano stati attivati due distinti ed autonomi procedimenti disciplinari:

– il primo, relativo a fatti posti a base di un giudizio penale, rimasto sospeso in pendenza del giudizio, e nel cui ambito è stata disposta la sospensione obbligatoria della dipendente dal servizio, in quanto condannata in primo grado per il reato di peculato, con pagamento di una indennità pari al 50% della retribuzione. Il procedimento è stato riattivato un paio di anni dopo a seguito della comunicazione al comune della assoluzione del dipendente da parte del suo legale (che richiedeva l’integrazione delle retribuzioni) e si è concluso con la sanzione di un mese di sospensione;

– il secondo procedimento avente ad oggetto l’assenza ingiustificata del dipendente dal servizio decorrente dal giorno del dispositivo di assoluzione penale, conclusosi con la irrogazione del licenziamento.

Relativamente al ricorso che verte sulla legittimità della sanzione del licenziamento irrogata all’esito del secondo procedimento, oggetto della sentenza in esame, i giudici di legittimità evidenziano che “Si tratta, dunque, di stabilire se possa o meno qualificarsi come assente ingiustificato dal servizio il dipendente che, dopo essere stato assolto da una imputazione penale per la quale era stata disposta la sospensione obbligatoria dal servizio, ai sensi dell’art. 4 della L. n. 97 del 2001, ometta di comunicare la sentenza di assoluzione alla pubblica amministrazione datrice di lavoro.”

La Corte di Cassazione, ricordato che, ai sensi dell’art. 4 della l. 97/2001, la sospensione cautelare del dipendente dal servizio che la p.a. ha l’obbligo di disporre in caso di condanna, anche non definitiva, per delitti, quali quello di peculato, perde efficacia se per il fatto è successivamente pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione, anche non definitiva, ribadisce che la riammissione in servizio in caso di assoluzione in secondo grado, dopo la sospensione per condanna in primo grado, è un onere dell’ente e che “In mancanza di una disposizione di riammissione del dipendente in servizio, non può configurarsi a carico di quest’ultimo un addebito di assenza ingiustificata”.

Secondo la sentenza in commento, infine, contrariamente a quanto affermato dal giudice dell’appello, l’obbligo della cancelleria dell’ufficio giudiziario di dare comunicazione all’amministrazione di appartenenza della sentenza penale resa nei confronti del dipendente non è limitato alle sentenze di condanna ma si riferisce a tutte le sentenze penali, indipendentemente dal contenuto del dispositivo, e che, pertanto, in merito il dipendente non ha nessun obbligo di comunicazione nei confronti dell’ente.

 

Leggi la sentenza

cassazione sentenza 5813_2022

 

 

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