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Piemonte, del. 170/2022 – Limiti agli investimenti su beni di terzi locati a fini non istituzionali


Il sindaco di un comune ha posto un quesito riguardate l’interpretazione dell’art. 3, rubricato “razionalizzazione del patrimonio pubblico e riduzione dei costi per locazioni passive”, del d.l. 95/2012. In particolare, prevedendo tale disposizione una riduzione del 15% sui canoni di locazione per i contratti in corso e limiti al rinnovo e alla conclusione di nuovi contratti, il che crea un disfavore per la stipula di locazioni passive, si richiede se su un bene, non destinato a servizi pubblici o uffici, di cui l’ente abbia il godimento in forza di un contratto di locazione passiva, sia possibile eseguire degli investimenti consistenti in migliorie anche in grado di mutarne la destinazione d’uso.

I magistrati contabili del Piemonte, con la deliberazione 170/2021, confermano che le misure richiamate dall’ente sulla riduzione dei canoni ed i limiti al rinnovo rientrano nel comma 4 del richiamato art. 3, in base al quale il rinnovo dei canoni è consentito alle seguenti condizioni:

“a) disponibilità delle risorse finanziarie necessarie per il pagamento dei canoni, degli oneri e dei costi d’uso, per il periodo di durata del contratto di locazione;
b) permanenza per le Amministrazioni (…) delle esigenze allocative in relazione ai fabbisogni espressi agli esiti dei piani di razionalizzazione di cui all’articolo 2, comma 222, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, ove già definiti, nonché di quelli di riorganizzazione ed accorpamento delle strutture previste dalle norme vigenti“
.

Come evidenziato dalla Corte, tale norma però riguarda immobili in locazione per finalità istituzionali, mentre l’ente si riferisce a beni locati per fini non istituzionali di cui si vuole mutare la destinazione d’uso; perciò, l’ambito di applicazione della norma non può essere esteso a questa fattispecie.

Relativamente alla richiesta in esame, secondo la deliberazione in commento, i principi posti dal richiamato art. 3 del d.l. 95/2012, non possono essere considerati principi generali da cui ricavare un divieto all’esecuzione di migliorie su beni di terzi; tuttavia, il fine perseguito dalla norma deve essere adeguatamente ponderato nelle scelte dell’ente che dovranno essere ispirate a criteri di ragionevolezza e logicità.

Infatti, se l’investimento producesse un aumento di valore del bene, potrebbe trasferire al proprietario del bene risorse maggiori di quelle consentite con l’introduzione del limite di spesa.

I magistrati piemontesi ricordano in proposito che in base alla disciplina di cui all’art. 1592 del Codice civile “salvo disposizioni particolari della legge o degli usi, il conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata. Se però vi è stato il consenso del locatore, questi è tenuto a pagare un’indennità corrispondente alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna”. In assenza di deroghe a questa disciplina, nei casi di un eventuale acquisto del bene e di una durata residua del contratto di locazione non allineata con la vita utile dell’investimento, l’impiego di risorse per lavori di miglioria non corrisponderebbe a parametri di convenienza economica.

In conclusione sarà l’Amministrazione a dover valutare, in relazione all’uso a cui il bene è destinato, al regolamento del contratto di locazione, sia con riferimento alla durata che al regime dei rimborsi per eventuali migliorie, alle concrete prospettive di futura acquisizione del bene, se vi sia un interesse pubblico prevalente che giustifichi gli investimenti sul bene locato assicurando che le iniziative adottate non si traducano, nella sostanza, in uno strumento per eludere l’applicazione di norme imperative di finanza pubblica.

 

Leggi la deliberazione

CC 170-2021 Piemonte

 

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