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Reati contro la Pa: il clamore mediatico giustifica il danno all’immagine


“(….) Ogniqualvolta un soggetto, legato da rapporto di servizio, ponga in essere un comportamento criminoso e sfrutti posizione ricoperta per il perseguimento di scopi personali utilitaristici e non per il raggiungimento di interessi pubblici generali, così minando la fiducia dei cittadini nella correttezza dell’azione amministrativa, con ricadute negative nell’organizzazione amministrativa e nella gestione dei servizi in favore della collettività”, si concretizza il danno all’immagine.

È questo il principio che emerge dalla sentenza n. 219 del 6 ottobre 2021 emessa dalla Corte dei Conti Sezione Giurisprudenziale per la Regione Veneto, che riconosce il danno all’immagine subito da un Ente Pubblico a seguito della condanna passata in giudicato per il reato di peculato commesso da un dipendente che ha suscitato un ripetuto interesse da parte della stampa locale.

La vicenda riguarda un pubblico ufficiale condannato alla pena di due anni di reclusione e al risarcimento del danno patrimoniale subito dall’Ente di appartenenza a causa di reiterate condanne illecite consistenti nell’appropriazione di somme di denaro pubblico per scopi privati.

Pur non essendosi prodotto alcun danno da disservizio, al punto che l’Ente si è costituito parte civile per il solo ristoro del danno patrimoniale subito, il requirente ha contestato anche il danno di immagine, ai sensi del comma 30 ter. D.l. 78/2009, (modificato con d.l. 103/2009), giustificato dal clamore mediatico suscitato dalla vicenda, dalla sentenza di condanna passata in giudicato per reato contro la pubblica amministrazione commesso da soggetto legato da rapporto di servizio alla stessa e l’esistenza dell’elemento soggettivo del dolo.

I magistrati della sezione giurisprudenziale del Veneto hanno ritenuto “pienamente fondata, in quanto corroborata da idonei elementi probatori” la richiesta del requirente di risarcimento da danno di immagine, richiamando le norme sopra riportate, e, in particolare, “una sentenza irrevocabile di condanna che costituisce presupposto indefettibile per l’esercizio dell’azione” e la diffusione della notizia che ne ha causato “nocumento alla reputazione e onorabilità dell’ente”.

In relazione alla concreta quantificazione del danno all’immagine, i magistrati hanno, anche in questo caso, ritenuto corretta l’ipotesi della Procura di restituzione esatta del maltolto. Infatti, pur considerando il criterio presuntivo introdotto all’art. 1, comma 1 sexies della legge 20/1994 dalla legge 190/2012, (che prevede che l’entità del danno si presume pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale o altre utilità illecitamente percepita dal responsabile), il requirente “se ne è discostato fornendo, ai sensi dell’art. 2697 c.c., congrui parametri per la quantificazione del danno (…) tenuto conto della obiettiva difficoltà di precisa individuazione del suo esatto ammontare, sopperendovi attraverso elementi di prova anche presuntivi o indiziari (…)”, come l’ “oggettiva gravità del fatto, le modalità di realizzazione dell’illecito, la reiterazione della condotta (…) il grado di diffusività dell’episodio nell’ambito della collettività di appartenenza (…) il ruolo e qualifica dell’autore dell’illecito”.

 

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Sentenza CC Veneto_danno immagine

 

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