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Appalti: i gravi illeciti professionali devono essere riconducibili all’impresa concorrente


I gravi illeciti professionali assumono rilevanza ai fini dell’esclusione dalla gara quando le condotte sono riconducibili direttamente all’operatore economico che partecipa alla gara, o al suo subappaltatore.

Non possono essere prese in considerazione le condotte tenute dai suoi rappresentanti nell’ambito di attività imprenditoriali o professionali pregresse, non riconducibili a quella dell’operatore economico concorrente alla gara.

Questo il principio espresso dal Tar Bolzano con la sentenza n. 14 del 22 gennaio 2019.

Nel caso di specie la stazione appaltante aveva escluso l’operatore economico per fatti compiuti dal consigliere del CdA della Società nel corso della sua pregressa attività in campo edilizio, quando rivestiva la carica di legale rappresentante di una cessata impresa di costruzioni.

L’articolo 80 del d.lgs. 50/2016, rubricato “Motivi di esclusione”, contiene l’elenco dei requisiti di carattere generale (detti anche di moralità) che devono possedere gli operatori economici e la cui mancanza costituisce motivo di esclusione dalla gara.

La ratio della norma è quella di accertare che l’operatore economico possieda le qualità morali indispensabili per assumere commesse pubbliche, così da assicurare il buon andamento dell’Amministrazione.

Il legislatore ha suddiviso le cause di esclusione in quattro gruppi: quelle dipendenti dalla sussistenza di condanne penali (comma 1), quelle derivanti da provvedimenti previsti dal Codice antimafia (comma 2), quelle concernenti la violazione degli obblighi relativi al pagamento di imposte, tasse e contributi previdenziali (comma 4) e, infine, le numerose e variegate cause elencate nel comma 5, lettere da a) a m).

Una parte delle suddette cause di esclusione (commi 1 e 2) ha carattere vincolato, mentre l’altra parte lascia margini di discrezionalità alla stazione appaltante.

Dal punto di vista soggettivo, il comma 3 del citato articolo 80 chiarisce poi quanto segue: “L’esclusione di cui ai commi 1 e 2 va disposta se la sentenza o il decreto ovvero la misura interdittiva sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; di un socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico, se si tratta di società in accomandita semplice; dei membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, ivi compresi institori e procuratori generali, dei membri degli organi con poteri di direzione o di vigilanza o dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo, del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio…”.

Come ribadito dai giudici amministrativi le cause d’esclusione dalle gare pubbliche sono tipiche e di stretta interpretazione e non sono suscettibili di estensione analogica.

Pertanto, ai soggetti individuati dal sopra richiamato comma 3 dell’articolo 80, si estendono esclusivamente le sole cause di esclusione “di cui ai commi 1 e 2”.

Diversamente, le cause di esclusione previste negli altri commi dell’art. 80 (tra cui le gravi infrazioni/gravi illeciti professionali) devono trovare applicazione solo nei confronti dell’impresa concorrente (“operatore economico”) e del suo eventuale “subappaltatore”.

I giudici amministrativi hanno ritenuto non condivisibile l’interpretazione estensiva delineata dall’Anac nelle linee guida n. 6/2016 dove è stato precisato, con riferimento specifico al comma 5, lett. c) dell’art. 80, che “i gravi illeciti professionali assumono rilevanza ai fini dell’esclusione dalla gara quando sono riferiti direttamente all’operatore economico o ai soggetti individuati dall’art. 80, comma 3, del Codice

Detta interpretazione non è conforme alla norma, con conseguente violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione dalla gara (in tal senso anche Tar Milano, sentenza 29 gennaio 2018, n. 250).

 


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