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Appalto di servizi e somministrazione di lavoro: elementi distintivi


Un affidamento formalmente qualificato come “appalto” dissimula in realtà una somministrazione di personale quando, in relazione alla natura delle prestazioni lavorative richieste e sulla base degli atti di gara, risulta che il personale richiesto per l’espletamento del servizio è inserito nell’organizzazione della stazione appaltante, si avvale delle attrezzature messe a disposizione della stazione appaltante ed è sottoposto al controllo e al coordinamento del “Direttore dell’esecuzione” nominato dalla stazione appaltante.

Tali indici attestano il carattere fittizio dell’appalto.

Questo il principio ribadito dal Tar Lazio, Roma, con la sentenza n. 12283 del 18 dicembre 2018.

Nel caso di specie alcuni soggetti, in qualità di idonei (non vincitori) di una procedura concorsuale indetta dall’amministrazione per il reclutamento di Collaboratori professionali sanitari – infermieri, avevano contestato la scelta dell’amministrazione che, anziché procedere allo scorrimento della graduatoria di merito (ancora valida ed efficace), aveva indetto una procedura aperta, ai sensi dell’art. 60 del d.lgs. 50/2016 per l’acquisizione di “servizi infermieristici ed ausiliari di supporto all’attività sanitaria“, dissimulando in realtà una somministrazione di lavoro, in violazione del d.lgs. 276/2003.

I giudici amministrativi hanno ritenuto sussistente l’interesse diretto, concreto e attuale dei ricorrenti all’impugnazione del provvedimento di indizione della gara.

Se è pur vero che gli idonei di una procedura concorsuale non possono vantare un diritto alla assunzione, è altrettanto vero che essi sono legittimati alla impugnativa dei provvedimenti con i quali l’amministrazione incide illegittimamente sulla loro possibilità di essere assunti per effetto dello scorrimento della graduatoria, procrastinando (sine die) il momento della loro eventuale assunzione.

Nel caso di specie, sulla base delle singole disposizioni del capitolato e del disciplinare, analiticamente e organicamente esaminate, e considerata la natura delle prestazioni lavorative richieste, i giudici amministrativi hanno ritenuto fondata la dedotta violazione dell’articolo 29 del d.lgs. 276/2003, rilevando la non genuinità dell’appalto.

Ai sensi dell’articolo 29, comma 1, del d.lgs. 276/2003: “Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”.

Pertanto, i tratti distintivi che connotano in modo tipico il contratto d’appalto e valgono a differenziarlo dalla somministrazione di personale consistono nell’assunzione da parte dell’appaltatore:

  1. del potere di organizzazione dei mezzi necessari allo svolgimento dell’attività richiesta;
  2. del potere direttivo sui lavoratori impiegati nella stessa;
  3. del rischio di impresa.

L’appaltatore, dunque, deve assumere, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro, secondo lo schema dell’obbligazione di risultato.

Al contrario, nel contratto di somministrazione, l’Agenzia per il Lavoro invia in missione dei lavoratori, che svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore, secondo lo schema dell’obbligazione di mezzi.

Dal che ulteriormente consegue che nel contratto di appalto i lavoratori restano nella disponibilità della società appaltatrice, la quale ne cura la direzione ed il controllo; nella somministrazione è invece l’utilizzatore che dispone dei lavoratori, impartendo loro le direttive da eseguire.

Nel puntualizzare la distinzione tra i due fenomeni interpositori, la Circolare del Ministero del lavoro n. 5/2011 ha affermato che:

  • l’appalto ha per oggetto un «fare», giacché l’appaltatore fornisce al committente un’opera o un servizio, da realizzare tramite la propria organizzazione di uomini e mezzi, assumendosi il rischio d’impresa (obbligazione di risultato);
  • la somministrazione di lavoro ha invece per oggetto un «dare», in quanto il somministratore si limita a fornire a un terzo forza-lavoro da lui assunta, affinché questi ne utilizzi la prestazione secondo le proprie necessità, adattandole al proprio sistema organizzativo (obbligazione di mezzi).

In definitiva un appalto può essere definito “genuino” quando l’appaltatore non risulti essere un intermediario, ma un vero e proprio imprenditore che, come tale, impieghi una propria organizzazione produttiva ed assuma i rischi della realizzazione dell’opera, o del servizio pattuito.

L’appalto, invece, maschera una interposizione illecita di manodopera, quando il pseudo-appaltatore si limita a mettere a disposizione del pseudo-committente le mere prestazioni lavorative dei propri dipendenti.

La giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. III, 12 marzo 2018 n. 1571; Cassazione civile, sez. lav., 7 febbraio 2017, n. 3178) è intervenuta a dettagliare in modo ancor più specifico gli indici sintomatici della non genuinità di un affidamento formalmente qualificato come “appalto”, ma in realtà dissimulante una somministrazione di personale, ravvisandoli nei seguenti elementi:

  • la richiesta da parte del committente di un certo numero di ore di lavoro;
  • l’inserimento stabile del personale dell’appaltatore nel ciclo produttivo del committente;
  • l’identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore rispetto a quella svolta dai dipendenti del committente;
  • la proprietà in capo al committente delle attrezzature necessarie per l’espletamento delle attività;
  • l’organizzazione da parte del committente dell’attività dei dipendenti dell’appaltatore

Si tratta di indici che integrano lo schema tipico della “somministrazione di lavoro” a tempo determinato, che si caratterizza per la ricerca di lavoratori da utilizzare per i generici scopi del committente, in chiave d’integrazione del personale già presente in organico (Cass. civ., sez. lav., 27 marzo 2017, n. 7796).

E’ necessario, pertanto, prestare particolare attenzione nei casi di appalti endoaziendali, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente (Cass. civ. sez. lav., 3 giugno 2014, n. 12357).

Nel caso di specie, il Tar ha dichiarato la non genuinità dell’appalto sulla base dei seguenti elementi:

  • l’attività di fatto svolta dai dipendenti dell’appaltatrice presso la committente era la stessa svolta dal personale infermieristico stabilmente inserito nella pianta organica della committente (tant’è che era prevista la possibile riduzione dell’oggetto dell’appalto in relazione alla progressiva assunzione del personale infermieristico ed ausiliario alle dirette dipendenze dell’amministrazione committente);
  • il personale dell’appaltatrice era inserito stabilmente a tutti gli effetti nell’organizzazione della stazione appaltante: da qui l’impossibilità di individuare un obiettivo di risultato, concluso e autonomo, realizzabile dall’appaltatore;
  • la committente era la proprietaria delle attrezzature necessarie per l’effettuazione del servizio;
  • il potere di controllo e di coordinamento era esercitato direttamente dal committente sui lavoratori dell’appaltatrice attraverso il Direttore dell’esecuzione, anziché sull’appaltatore (come avviene nell’appalto).

Tali dati dimostrano come l’amministrazione mirasse sostanzialmente ad integrare il proprio personale interno, dimostratosi insufficiente, con altro personale esterno, in modo garantire il regolare svolgimento delle proprie attività d’ufficio.


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