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Selezioni pubbliche: illegittimo richiedere la residenza nel Comune quale condizione


E’ illegittimo il bando per la selezione pubblica di personale che richiede quale requisito di partecipazione alla procedura concorsuale la residenza presso il Comune che ha indetto la selezione.

Questo il principio ribadito dal Tar Toscana con la sentenza n. 8941 del 27 giugno 2017.

Nel caso di specie il comune aveva indetto una selezione pubblica di personale per lavoro occasionale a supporto della biblioteca comunale, dell’ufficio turistico e nella gestione degli immobili, prevedendo, quale requisito di accesso da possedere già alla data di pubblicazione del bado, la residenza nel predetto comune.

Come evidenziato dal Tar, la giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che “l’accesso in condizioni di parità ai pubblici uffici può subire deroghe, con specifico riferimento al luogo di residenza dei concorrenti, quando il requisito medesimo sia ricollegabile, come mezzo al fine, all’assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato” (sent. n. 158/1969, n. 86/1963, n. 13/1961, n. 15/1960).

In tal senso, l’articolo 35, comma 5 ter, del d.lgs. n. 165/2001 statuisce che “il principio della parità di condizioni per l’accesso ai pubblici uffici è garantito, mediante specifiche disposizioni del bando, con riferimento al luogo di residenza dei concorrenti, quando tale requisito sia strumentale all’assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato”.

Secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata di tale norma, non è ammissibile qualificare il requisito della residenza presso il Comune che ha indetto la selezione come aprioristica condizione di partecipazione alla procedura concorsuale (Tar Sicilia, Palermo, sent. n. 1010/2011) anziché, ad esempio, quale obbligo da assolvere in caso di assunzione in servizio ad esito della procedura stessa.


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