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Ruolo pubblico esercitato in modo deviato e con profitto personale: è danno all’immagine


Il dipendente che esercita la funzione pubblica demandatagli in modo deviato e con profitto personale, rendendosi disponibile a collaborare con un soggetto privato per il buon esito delle proprie pratiche edilizie, in cambio del pagamento di tangenti, pone in essere un comportamento criminoso idoneo a determinare un danno all’immagine della pubblica amministrazione.

Sfruttare la posizione ricoperta per il perseguimento di scopi personali utilitaristici e non per il raggiungimento di interessi pubblici generali, infatti, compromette la fiducia dei cittadini nella correttezza dell’azione amministrativa, con ricadute negative nell’organizzazione amministrativa e nella gestione dei servizi in favore della collettività.

Questo quanto ribadito dalla Corte dei Conti, sez. giur. Veneto, con la sentenza n. 51 depositata il 20 aprile 2017.

Nel caso di specie un dipendente, nella qualità di componente della Commissione per la Salvaguardia regionale (organismo chiamato a rendere parere vincolante sugli interventi di trasformazione del territorio) aveva percepito delle somme di denaro da un libero professionista a fronte di una “consulenza” tecnica avente ad oggetto la predisposizione delle pratiche che sarebbero state esaminate dalla Commissione e la verifica del tempestivo e positivo iter di tali pratiche.

In particolare il dipendente garantiva la propria presenza alle sedute della Commissione di Salvaguardia dedicate alla trattazione delle pratiche edilizie presentate dal libero professionista, interferendo sull’iter decisionale dei componenti della commissione, al fine di indurli ad esprimere valutazioni positive e, comunque, garantendo il proprio voto personale sempre e comunque favorevole.

Tale comportamento criminoso viola i precipui doveri ricadenti su chi svolge una pubblica attività, che impongono di conformare la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità, di astenersi in caso di conflitti di interessi, di non utilizzare a fini privati le informazioni di cui si disponga per ragioni d’ufficio, di non chiedere né accettare, a qualsiasi titolo, compensi in connessione con l’attività istituzionale.

Tenuto conto della gravità del comportamento illecito tenuto dal pubblico dipendente, dell’entità del suo scostamento rispetto ai canoni ai quali egli avrebbe dovuto obbligatoriamente ispirarsi, nonché dell’idoneità del fatto ad arrecare il pregiudizio reputazionale, il danno all’immagine è stato quantificato nel doppio della tangente illegittimamente percepita, secondo il criterio legale previsto dalla normativa anticorruzione (articolo 1, comma 62, della legge 190/2012).

Leggi la sentenza
CC Giur. Veneto sent. n. 51 -17


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