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La natura del rapporto di lavoro instaurato tra il Direttore e l’Ipab


Il Direttore dell’IPAB che svolge attività extra istituzionali non autorizzate o autorizzabili è tenuto a restituire gli importi percepiti da terzi al datore di lavoro pubblico.

Questo quanto evidenziato dalla Corte dei Conti, sez. giur. Veneto, con la sentenza n. 118 depositata il 12 ottobre 2016, con la quale è stato condannato per danno erariale il Direttore di un’IPAB (istituzione pubblica di assistenza e beneficenza) che aveva svolto contemporanea attività libero-professionale ed autonoma di dottore commercialista senza ottenere la preventiva autorizzazione, percependo così un compenso indebito.

Come evidenziato dai giudici contabili, la disciplina normativa propria (ed inderogabile) dettata dal d.lgs. n. 165/2001 si estende a tutti i rapporti di lavoro dipendente, sia a tempo determinato che indeterminato, costituiti dallo Stato e dagli enti ed organismi pubblici, anche locali o territoriali, come comuni, province, comunità montane e i loro consorzi, ivi comprese, naturalmente, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB), non trasformate in enti privati e dotate di personalità giuridica di diritto privato.

Ciò in quanto il presupposto essenziale del rapporto di pubblico impiego è la natura di ente pubblico del datore di lavoro.

Di conseguenza, stante la natura giuridica pubblica dell’IPAB (ma lo stesso sembra valere anche per le de-pubblicizzate o privatizzate ASP – Aziende di servizi alle persone che conservano la personalità giuridica), il rapporto di lavoro con il personale dipendente riveste sicura natura di pubblico impiego.

Pertanto, il d.lgs. 165/2001 deve trovare concreta applicazione anche nell’intero comparto “allargato” delle PP.AA., ivi comprese, ergo, le istituzioni di pubblica assistenza e beneficenza, quali enti pubblici.

La peculiarità di detti enti e del loro regime giuridico, caratterizzato dall’intrecciarsi di una intensa disciplina pubblicistica con una notevole permanenza di elementi privatistici, non impedisce, infatti, la riconducibilità degli stessi alle regole degli enti locali, quanto alla specifica disciplina della spesa e, in particolare, di quella – di carattere rigido – concernente il personale dipendente.

In particolare, il carattere di esclusività che connota il rapporto di lavoro a favore delle pubbliche amministrazioni impone al dipendente pubblico di ottenere una previa autorizzazione per lo svolgimento di attività esterne, ex articolo 53, comma 7, del d.lgs. 165/2001.

Tenuto conto del complesso ed articolato compendio normativo si desume che il dipendente pubblico con orario di lavoro a tempo pieno:

  1. non può svolgere, in quanto considerate assolutamente vietate, alcune attività quali: lo svolgimento di impieghi presso altre pubbliche amministrazioni; lo svolgimento di attività commerciale, imprenditoriale e industriale; l’assunzione di cariche in società costituite a scopo di lucro;
  2. per altri tipi di incarichi, è tenuto a chiedere (preventivamente) formale autorizzazione allo svolgimento di attività extraistituzionale alla propria Amministrazione.

L’inosservanza di tale obbligo è sanzionato con la sostanziale disutilità dei proventi della prestazione non autorizzata, integrata dall’obbligo di destinazione dei medesimi compensi all’amministrazione di appartenenza e ciò a prescindere dalla dimostrazione di effettivi nocumenti arrecati all’interesse patrimoniale della p.a.

Diversamente, il personale con orario di lavoro a tempo parziale (part-time) non superiore al 50% del tempo pieno non è vincolato alle predette limitazioni, potendo invece svolgere qualsiasi attività lavorativa autonoma o subordinata ulteriore e contemporaneamente, purché non sia in conflitto di interessi con l’incarico.

Per completezza si evidenzia che sono liberamente esercitabili, essendo normativamente escluso l’obbligo di comunicare eventuali relativi compensi ricevuti, gli incarichi di:

a)  collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;

b)  utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali;

c)  partecipazione a convegni e seminari;

d)  incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;

e)  incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;

f)  incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;

f-bis) attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica

Nelle suddette ipotesi “liberalizzate” resta comunque salvo il potere dell’amministrazione di appartenenza di monitorare e valutare la compatibilità di detti incarichi con lo svolgimento dei doveri istituzionali, per cui potrebbero essere comunque previsti obblighi di informazione o di comunicazione preventiva.

Così ricostruito il quadro normativo di riferimento in materia, i giudici contabili hanno affermato la responsabilità amministrativa del Direttore dell’IPAB che, in antitesi con quanto imposto dalla disciplina del rapporto di esclusiva, aveva svolto attività lavorativa autonoma rientrante in quella professionale in assenza della preventiva autorizzazione.

Per l’effetto, lo stesso è stato condannato a versare i compensi effettivamente “percepiti” (e, quindi, “al netto” degli oneri fiscali riflessi ritenuti sui redditi di lavoro autonomo, a titolo di acconto o di imposta versata dal contribuente e già incamerati o ripresi dal sistema di fiscalità generale) e derivanti dall’esercizio della collaterale attività professionale di commercialista e di revisore contabile nel conto dell’entrata dell’amministrazione di appartenenza.

Leggi la sentenza
cc-giur-veneto-sent-n-118-2016


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