Entra in area riservata:
Entra in area riservata:
 

Danno all’immagine da reato “comune”. Le condanne per gli scontri al G-8 di Genova portano nuovamente la questione alla Corte Costituzionale.


In occasione del vertice dei capi di Stato, denominato G8, tenutosi a Genova nel luglio del 2001, alcuni agenti della Polizia di Stato arrestavano abusivamente cittadini spagnoli: essi inoltre li incolpavano, pur sapendoli innocenti, dei reati di resistenza aggravata e possesso ed utilizzo di armi, affermando falsamente nel verbale di arresto e nelle successive relazioni di servizio che essi si fossero scagliati contro le forze di Polizia.

La Corte d’appello di Genova con sentenza del 13 luglio 2010, in totale riforma della sentenza di primo grado, ritenendoli colpevoli del reato continuato di falsità ideologica, li condannava a quattro anni di reclusione mentre gli altri reati (calunnia ed abuso di ufficio) venivano dichiarati estinti per prescrizione. La sentenza, dopo il rigetto del ricorso in Cassazione proposto, passava in giudicato.

Per tali fatti gli agenti venivano chiamati dalla Procura contabile a rispondere del danno patrimoniale indiretto subito dal Ministero della Giustizia, per il pagamento di Euro 10.584,00 a titolo di spese di costituzione in giudizio delle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato nei processi di primo e secondo grado; del danno patrimoniale subito dal Ministero dell’Interno per avere anticipato la somma di € 10.000,00 per le spese legali degli imputati, somma non restituita a seguito della condanna e, da ultimo per il risarcimento del danno all’immagine della Polizia di Stato, gravemente lesa dal comportamento delittuoso dei condannati, danno quantificato in € 200.000,00.

La sezione giurisdizionale, nota la preclusione dell’art. 17, comma 30 ter, del Decreto Legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 3 agosto 2009 n. 102, modificato dall’art. 1 c.1 lett. c) n.1 del D.L. 3 agosto 2009 n. 103 convertito dalla Legge 3 ottobre 2009 n. 141, che, per effetto del rinvio contenuto nella predetta norma all’art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97, legittima la proposizione dell’azione risarcitoria per danni all’immagine dell’ente pubblico soltanto se detto danno è conseguente a un reato ascrivibile alla categoria dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, sposa la tesi della Procura contabile, che ha sollecitato di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma de qua, per contrasto della stessa con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Il contrasto con l’art. 3 Cost. è stato denunciato per “l’intrinseca irragionevolezza” della disciplina regolatrice dell’azione risarcitoria per danno all’immagine da parte del giudice contabile, ritenuta non conforme a valori di giustizia ed equità ed a criteri di coerenza logica, nonché per violazione del principio di uguaglianza, anche a seguito delle nuove figure di danno all’immagine introdotte dal legislatore successivamente alla norma censurata.

In verità la questione non è nuova ed è stata già risolta dalla Corte costituzionale che, nel dichiarare inammissibili e/o infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, prospettate da varie Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, ha ritenuto (sentenza n. 355 del 2010 e ordinanze nn. 219, 220 e 221 del 2011) che “Il legislatore ha ammesso la proposizione dell’azione risarcitoria per danni all’immagine dell’ente pubblico da parte della procura operante presso il giudice contabile soltanto in presenza di un fatto di reato ascrivibile alla categoria dei «delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione» e che “La norma deve essere univocamente interpretata, nel senso che al di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilità per danni all’immagine dell’ente pubblico di appartenenza, non è configurabile siffatto tipo di tutela risarcitoria.”

Anche le Sezioni riunite del giudice contabile con la pronuncia n. 8 del 2015 si sono orientate nella stessa direzione, sostenendo che il riferimento “ai casi e ai modi” previsti nell’art. 7 della citata legge n. 97 del 2001, comporta la possibilità della procura contabile di esperire l’azione di risarcimento solo nel caso di danno all’immagine conseguente ai delitti contro la pubblica amministrazione, tra i quali non è compreso il reato di falsità ideologica per il quale i convenuti sono stati condannati.

Tuttavia, la sezione ligure coglie nuovi spunti di riflessione dalla normazione successivamente intervenuta che, seppur non ritenuta all’epoca della pronuncia del Giudice delle leggi, segnare un’inversione di tendenza verso un’apertura dello spettro di applicazione verso i reati “comuni”, ora potrebbe segnarne un definitivo superamento.

Infatti, ricorda il giudice, non solo è intervenuto l’art. 55-quinquies, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (danno all’immagine da assenteismo fraudolento) ma anche l’art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (danno da reati di corruzione all’interno della PA) e l’art. 46, comma 1, del D.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (in tema di trasparenza). Secondo la disciplina normativa in vigore, verrebbero, infatti, escluse dall’azione risarcitoria per danno all’immagine fatti di reato altrettanto gravi e anche più gravi di  quelli che integrano gli estremi dei reati contro la P.A. e soprattutto certamente più gravi dei fatti non costituenti reato descritti dalle nuove figure di violazioni di doveri del pubblico dipendente, creando sperequazioni manifestamente irragionevoli tra fatti che producono i medesimi effetti dannosi, con situazioni finanche paradossali. Si pensi ad esempio, al danno all’immagine della P.A. risarcibile per la violazione del segreto d’ufficio (326 c.p.) ma non per la rivelazione di segreto di Stato (261 c.p.) commessa da pubblico ufficiale; al danno all’immagine risarcibile per l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato di cui all’art. 316 ter del c.p. ma non per la truffa aggravata per il conseguimento delle medesime erogazioni pubbliche di cui all’art. 640 bis del c.p.; al danno all’immagine nel caso di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c.p., che resta escluso se il reato viene assorbito in uno più grave ma non compreso tra quelli contemplati dalla norma.


Richiedi informazioni