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Corruzione negli appalti: il sistematico ricorso a procedure illecite


Risponde di danno erariale il funzionario pubblico che, in cambio di rilevanti somme di denaro, viola ripetutamente la normativa in materia procedure ad evidenza pubblica, tramite affidamenti ad aziende “amiche” senza previe indagini di mercato o confronti concorrenziali, o frazionamenti artificiosi di opere, al fine di sottoporre l’affidamento alle procedure di acquisizione in economia, o ricorrendo, in assenza dei relativi presupposti, alla procedura di somma urgenza.

Questo il principio espresso dalla Corte dei Conti, sez. giur. Liguria, con la sentenza n. 14 depositata il 24 febbraio 2016.

Nel caso di specie un dipendente, nella sua qualità di Capo del Settore lavori pubblici e servizi tecnologici di un ente, era stato sottoposto a procedimento penale, conclusosi con patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p. per corruzione, falso, truffa ai danni dell’ente pubblico, e occultamento o distruzione di documenti contabili.

Successivamente, in sede di procedimento disciplinare, era stato licenziato, in considerazione del sistematico ricorso a procedure illecite, prolungatosi per un rilevante arco di tempo, e per l’entità del fenomeno corruttivo.

Dagli atti del procedimento penale, infatti, era emerso con chiarezza che i favoritismi nell’affidamento degli appalti di lavori erano stati compensati con rilevanti dazioni di denaro elargite sotto forma di sponsorizzazione alla società sportiva di cui il dipendente era presidente.

I giudici contabili hanno accolto le richieste formulate dal Pubblico Ministero, condannando il dipende a risarcire l’ente per il danno subito (fra cui in particolare, il danno all’immagine dell’amministrazione e il danno per c.d. “perdita di chance”, ovvero della possibilità di ottenere un prezzo più vantaggioso negli appalti, applicando le corrette procedure).

A tal proposito si evidenzia che le stazioni appaltanti devono prestare la massima attenzione nelle corretta definizione del proprio fabbisogno in relazione all’oggetto degli appalti, specialmente nei casi di ripartizione in lotti, contestuali o successivi, o di ripetizione dell’affidamento nel tempo, evitando l’artificioso frazionamento delle commesse pubbliche per non incorrere nella violazione della disciplina dettata dal codice degli appalti.

La suddivisione in lotti di un appalto, infatti, non è in sé illegittima.

Il legislatore, infatti, impone alle stazioni appaltanti, al fine di favorire l’accesso al mercato delle piccole e medie imprese, di suddividere gli appalti in lotti funzionali, “ove possibile ed economicamente conveniente” e comunque nel rispetto della disciplina comunitaria.

Tuttavia, il frazionamento dell’appalto in lotti è legittimo se sono rispettate alcune condizioni.

In primo luogo i lotti devono avere natura “funzionale”.

Inoltre sono indispensabili altre due condizioni, quali la “possibilità tecnica” e la “convenienza economica”.

La stazione appaltante, inoltre, pur essendo libera di frazionare l’appalto, deve considerare i lotti come parte di un progetto di acquisizione unitario al fine di determinare la soglia comunitaria e la connessa procedura di gara.

La stazione appaltante, in particolare, deve fare riferimento alle procedure corrispondenti al valore complessivo dell’affidamento, dato dalla somma del valore dei singoli lotti.

 

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Leggi la sentenza
CC Sez. Giurisd. Liguria sent. n. 14-2016


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