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La quantificazione del danno all’immagine prevista dalla legge anticorruzione


Risponde del danno arrecato all’immagine dell’amministrazione il dipendente pubblico che abusa dei suoi poteri per raggiungere il fine illecito del personale arricchimento (delitto di indebita induzione di cui all’art. 319-quater c.p.).

In merito alla determinazione dell’importo del danno all’immagine da porre a carico del funzionario infedele, la previsione introdotta dalla legge 190/2012, che prevede una quantificazione ex lege del danno individuandolo, salvo prova contraria, nel doppio dell’illecito percepito, non si applica alle condotte antigiuridiche poste in essere prima della riforma della legge anticorruzione (in vigore dal 28 novembre 2012).

Per i fatti criminosi commessi prima dell’entrata in vigore della legge 190/2012, il danno all’immagine è comunque quantificabile mediante l’utilizzo dei criteri equitativi di cui all’art. 1226 c.c., applicando i parametri soggettivi, oggettivi e sociali.

Questo il principio affermato dalla Corte dei Conti, sez. appello, nella sentenza n. 333 depositata il 26 maggio 2015.

Nel caso di specie un funzionario pubblico era stato condannato, con sentenza adottata ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., per il reato previsto e punito dall’art. 319 quater c.p. (delitto di indebita induzione), per aver indotto una società a farsi versare cospicue somme di denaro al fine specifico di evitare una verifica fiscale che avrebbe comportato esborsi ben più onerosi rispetto alle somme richieste per insabbiare ogni tipo di accertamento.

I giudici d’appello hanno confermato la sentenza di primo grado (sezione giurisdizionale Lazio, sentenza 395/2014) che aveva ritenuto la sussistenza del danno all’immagine, riformulando, tuttavia, il quantum del danno.

Come ribadito dai giudici contabili la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex articolo 444 c.p.p. è equivalente a una pronuncia di condanna sul piano del valore probatorio circa l’effettivo compimento dei fatti costituenti reato.

La stessa, quindi, costituisce titolo idoneo ai fini della legittimazione dell’azione pubblica per danno all’immagine.

Inoltre, i giudici contabili hanno evidenziato che la legge anticorruzione è intervenuta sulla fisionomia del delitto di concussione (art. 317 c.p.) estromettendo dal novero dei soggetti attivi l’incaricato di pubblico servizio (trattandosi in tal caso di estorsione) ed eliminando l’induzione come modalità della condotta alternativa alla costrizione.

Sul tema si evidenzia che la Cassazione penale, con la sentenza n. 45468 del 13 novembre 2015, ha tracciato le differenze in tema di induzione indebita e di concussione.

Nello specifico, il delitto di concussione di cui all’articolo 317 c.p., nel testo modificato dalla legge 190/2012, è caratterizzato, dal punto di vista soggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita.

Al contrario, nel delitto di induzione indebita, previsto dall’articolo 319 quater c.p., introdotto dalla legge 190/2012, la condotta si configura come una forma di pressione psicologica, di persuasione, di suggestione con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale.

Il nuovo reato di “induzione indebita” ripropone, quindi, lo schema della vecchia concussione per induzione, con la differenza però che la punibilità è estesa al privato “concusso”, che veste i panni del correo e non più, come nella concussione, della vittima.

Entrambe le fattispecie rientrano nel più ampio genus di quelle condotte sanzionate come reati contro la pubblica amministrazione.

In ordine, infine, alla determinazione equitativa dell’importo da porre a carico del funzionario infedele, l’articolo 1, comma sexies, della legge 20/1991 (introdotto dall’art. 1, comma 62, della legge 190/2012) prevede che il danno “si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.

Secondo i giudici contabili, tale disposizione, in quanto norma di diritto sostanziale, non può trovare applicazione per gli illeciti commessi prima dell’entrata in vigore della legge anticorruzione.

Tale interpretazione non è comunque consolidata in giurisprudenza.

Secondo il contrapposto orientamento tale norma si applicherebbe in tutti i giudizi successivi alla entrata in vigore della legge 190/2012 (il 28 novembre 2012), a prescindere dalla data in cui sono stati commessi i fatti criminosi.

Ciò che conta, secondo tale filone interpretativo, non è il tempo in cui si è realizzata la fattispecie criminosa ma il momento in cui, con l’intervenuta irrevocabilità della decisione di condanna, è stato possibile, per il Pubblico ministero contabile, esercitare l’azione di risarcimento del danno all’immagine.

 


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