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Giur. Lombardia, sent. n. 170 – Danno da tangente negli appalti


Il monitoraggio del piano anticorruzione

Il costo delle cosiddette “mazzette” nelle procedure ad evidenza pubblica si traduce causalmente in un aumento di prezzi rispetto a quelli comuni di mercato.

Appare ovvio, infatti, che nessuno pone in essere una condotta penalmente illecita, quale la promessa e il successivo pagamento di una “tangente”, se non a condizione di ritrarne un’utilità almeno pari o (più verosimilmente) superiore.

L’importo del pregiudizio economico subito dall’amministrazione, di conseguenza, deve essere quantificato nella somma pari alla mazzetta riconosciuta al compiacente funzionario pubblico sottoposto al giudizio contabile.

Questo quanto affermato dalla Corte dei Conti, sez. giur. Lombardia, nella sentenza n. 170 depositata il 13 ottobre 2015.

Nel caso di specie un funzionario Asl era stato condannato per il reato di corruzione aggravata per atti contrari ai doveri d’ufficio di cui all’art. 319-bis c.p., avendo lo stesso favorito l’aggiudicazione di un appalto ad una ditta in cambio di una dazione di denaro (pari all’1% del valore d’appalto).

I giudici contabili hanno condannato, altresì, il funzionario a risarcire all’azienda sia il danno all’immagine (pari al doppio della somma di denaro illecitamente percepita) che il danno da tangente, quantificato non già nella somma materialmente percepita bensì in quella (più elevata) che il corruttore aveva riconosciuto di pagare.

La giurisprudenza, infatti, suppone che il corruttore riversi l’importo della tangente nell’offerta economica proposta all’amministrazione.

Conseguentemente, tale somma viene a rappresentare l’ingiustificato sovrapprezzo pagato dall’ente pubblico per la condotta corruttiva del proprio dipendente.

Si segnala il seminario di studi “Il monitoraggio del piano anticorruzione” in programma a Firenze il 6 novembre 2015.

Leggi la sentenza
CC Sez. giurisd. Lombardia sent. n. 170-15


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