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Giur. Sez. Appello, sent. n. 377 – Credito erariale: legittima l’azione revocatoria richiesta dalla Procura della Corte dei Conti


Se il dipendente condannato al risarcimento di un danno dona i propri beni ai familiari è sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio all’erario per legittimare l’azione revocatoria per far dichiarare inefficaci gli atti di donazione posti in essere.

Questo il principio espresso dalla Corte dei Conti, sez. appello, con la sentenza n. 377 depositata l’8 giugno 2015, con cui ha respinto il ricorso presentato da un dipendente del Ministero della difesa avverso la sentenza di I grado che aveva dichiarato inefficaci gli atti di donazione che lo stesso aveva compiuto a favore dei propri familiari di tutti i beni immobili di proprietà, atti di liberalità adottati successivamente alla verifica ispettiva che aveva ipotizzato un danno erariale a suo carico.

Nel caso di specie, infatti, l’azione revocatoria era stata promossa a seguito degli accertamenti patrimoniali esperiti nei confronti di un colonnello nell’ambito di un’attività istruttoria conseguente all’emersione di un danno erariale quantificato in oltre 1 milione di euro relativo alla gestione di una base logistica addestrativa, presso la quale il dipendente svolgeva le funzioni di comandante e capo del servizio amministrativo.

La verifica ispettiva che aveva evidenziato il danno si era svolta nel periodo febbraio/aprile 2010 e la relativa comunicazione del fatto alla Procura regionale era intervenuta il 21 aprile 2010, mentre gli atti di donazione erano stati registrati a maggio e settembre 2010.

Tenuto conto del fatto che tali atti di disposizione erano stati realizzati subito dopo la comunicazione dell’esito della verifica, la procura aveva richiesto l’azione revocatoria e la sezione giurisdizionale regionale l’aveva accolta, dichiarando l’inefficacia degli atti di donazione.

Secondo i giudici contabili, la tempistica delle donazioni, unitamente al legame strettissimo tra il donante e i donatari non lasciava dubbi sull’intenzionalità fraudolenta dell’interessato e sulla fondatezza dell’azione revocatoria esercitata, volta, come è noto, e rendere inefficaci gli atti posti in essere al fine di sottrarre i beni all’azione esecutiva del creditore.

Decisione confermata in appello.

L’azione revocatoria ordinaria, disciplinata dagli artt. 2901 e ss. c.c., è ad oggi uno dei mezzi principali, messi a disposizione del creditore dall’ordinamento giuridico, per la conservazione della garanzia patrimoniale generica sui beni del debitore (ex art. 2740 c.c.).

Essa, per orientamento costante della Corte di cassazione, ha finalità cautelare e meramente conservativa del diritto di credito e non recuperatoria, essendo diretta a conservare e/o ricostruire nella sua integrità, la consistenza patrimoniale del debitore, dallo stesso depauperata con un atto dispositivo (Cass. 7172/2001, Cass. 1804/2000).

Il bene pertanto non torna nel patrimonio del debitore, l’atto conserva la sua validità formale, ma il bene resta soggetto all’aggressione da parte del solo creditore che agisce in revocatoria, nella misura sufficiente e necessaria a soddisfare le sue ragioni di credito.

Coerentemente con tale sua unica funzione, l’azione anche se esperita vittoriosamente non è comunque volta a travolgere l’atto di disposizione, ma determina semplicemente l’inefficacia dello stesso nei confronti del procedente, per consentirgli il fruttuoso esperimento della successiva azione esecutiva, atta alla realizzazione concreta delle sue ragioni di credito (ex. 2902 c.c.).

I presupposti per l’esperimento dell’azione revocatoria sono:

• l’esistenza di una ragione di credito: l’azione può essere esperita anche a tutela di un credito eventuale, non ancora accertato giudizialmente (cd. credito litigioso), sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale, oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito. Di conseguenza, l’invito a dedurre emesso nei confronti del presunto responsabile di un danno erariale costituisce atto idoneo a configurare la sussistenza di un credito avente siffatta natura (in termini, Sez. I Centr. 913/2013);

• l’eventus damni, ovvero il compimento di un atto traslativo che determini la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ovvero renda più difficoltosa una eventuale futura soddisfazione del creditore mediante una modifica del patrimonio non solo sotto il profilo quantitativo, ma anche sotto quello qualitativo;

• la scientia damni da parte del debitore, consistente nella consapevolezza del danno arrecato agli interessi del creditore ovvero, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, nella dolosa preordinazione dello stesso al fine di pregiudicare le ragioni del credito;

• se l’atto è a titolo oneroso, la consapevolezza da parte del terzo (cioè l’avente causa del debitore) del pregiudizio, ovvero, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, la partecipazione o la conoscenza del terzo in ordine alla intenzione fraudolenta.

Tenuto conto della ricostruzioni dei fatti, i giudici contabili hanno confermato la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. da parte della procura contabile, diretta a realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, accessoria e strumentale a quella fornita dalle azioni di responsabilità erariale.

Leggi la sentenza
CC sez. giur. Centr. App. sent. n. 377_15


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