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Giur. Veneto, sent. n. 107 – Responsabilità erariale per esercizio della professione senza titolo


I compensi erogati al dipendente pubblico per aver svolto prestazioni professionali senza il possesso del prescritto titolo di studio e dell’abilitazione costituiscono danno erariale, senza che rilevi la circostanza che gli emolumenti percepiti abbiano remunerato prestazioni effettivamente svolte.

Questo il principio espresso dalla Corte dei Conti, sez. giur. Veneto, con la sentenza n. 107 depositata il 22 giugno 2015, con la quale ha condannato un medico a risarcire il danno arrecato all’amministrazione per aver esercitato indebitamente, per un lungo periodo di tempo, la professione, senza essere né laureato, né conseguentemente abilitato e iscritto presso l’Ordine dei Medici.

Secondo il consolidato orientamento della magistratura contabile la prestazione resa in via di fatto e in assenza dei necessari titoli di studio e abilitativi e, quindi, dell’indispensabile qualificazione professionale richiesta dalla legge, non può recare all’ente pubblico alcuna utilità giuridicamente apprezzabile (in particolare, Sez. Appello Sicilia, sent. 243/2012).

La Pubblica Amministrazione non richiede e non remunera una prestazione qualsiasi, ma la specifica prestazione dedotta in contratto, discendente da norme imperative, con standards qualitativi, di professionalità e quantitativi predeterminati.

La carenza di tali standards, nel caso specifico la professionalità richiesta, rende la prestazione lavorativa del tutto inadeguata alle esigenze amministrative e la controprestazione, ovvero la retribuzione corrisposta, non risulta correlata alla prestazione richiesta e pattuita, essendo venuto meno il relativo rapporto sinallagmatico (Corte dei Conti, sez. giur. Sicilia, sent. 1158/2011).

Né, al fine di legittimare, in qualche modo, la riscossione delle retribuzioni illecitamente percepite, può applicarsi la normativa contenuta nell’art. 2126 c.c. secondo cui “La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa”.

Il principio della temporanea efficacia del contratto di lavoro radicalmente invalido (e tuttavia) portato ad esecuzione rinviene un’eccezione testuale, ai sensi del richiamato articolo 2126 c.c., proprio con riguardo all’ipotesi di negozio nullo per illiceità dell’oggetto o della causa, ovvero allorquando il contenuto ovvero il profilo funzionale (da intendersi in concreto) del contratto si riveli “contrario a norme imperative, all’ordine pubblico od al buon costume” (art. 1343 c.c.).

E’ evidente come l’attività di falsificazione del titolo di studio e impiego fraudolento di documentazione amministrativa violi sia norme imperative che principi di c.d. ordine pubblico (cosiddetti “di protezione”).

Riscontrati tutti gli elementi di natura oggettiva e soggettiva che compongono la struttura dell’illecito erariale (nel caso di specie, condotta attiva, etiologicamente connessa ad un evento dannoso, e il dolo), i giudici contabili hanno quantificato il danno nell’esborso sostenuto dall’amministrazione per remunerare la prestazione per l’intero periodo di servizio.

Infine, sempre relativamente alla quantificazione del danno, i magistrati contabili hanno chiarito che la condotta dolosa esclude, per consolidato orientamento giurisprudenziale, l’esercizio del potere riduttivo.

Leggi la sentenza
CC sez. giurisd. Veneto sent. n. 107-2015

 


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