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Spese gruppi regionali: no ai controlli della Corte dei Conti ante 2012


La Corte dei conti non può chiedere il rendiconto delle spese fatte dai gruppi regionali prima dell’entrata in vigore del d.l. 174/2012.

E’ quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 107 del 9 giugno 2015 con la quale ha accolto il ricorso di due regioni avverso i decreti della Corte dei conti con cui era stato ordinato ai presidenti dei gruppi consiliari di depositare i conti giudiziali relativi alla gestione dei contributi pubblici fino al 2012.

La Corte ha ritenuto fondate le ragioni dei due enti ritenendo nel merito non sussistenti i presupposti oggettivi, relativi all’ambito di competenza della corte dei conti, e soggettivi, con particolare riferimento alla qualifica di agente contabile dei presidenti dei gruppi consiliari, giustificanti tale procedimento.

La Corte costituzionale ha affermato che “i gruppi consiliari sono organi del consiglio regionale, caratterizzati da una peculiare autonomia in quanto espressione, nell’ambito del consiglio stesso, dei partiti o delle correnti politiche che hanno presentato liste di candidati al corpo elettorale, ottenendone i suffragi necessari alla elezione dei consiglieri. Essi pertanto contribuiscono in modo determinante al funzionamento e all’attività dell’assemblea, assicurando l’elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica” (sentenza n. 187 del 1990).

L’attività di gestione amministrativa e contabile dei contributi pubblici assegnati ai gruppi consiliari è, dunque, meramente funzionale all’esercizio della sfera di autonomia istituzionale che ai gruppi consiliari medesimi e ai consiglieri regionali deve essere garantita (sentenza n. 187 del 1990), affinché siano messi in grado di “concorrere all’espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale e, in particolare, all’elaborazione dei progetti di legge, alla preparazione degli atti di indirizzo e di controllo, all’acquisizione di informazioni sull’attuazione delle leggi e sui problemi emergenti dalla società, alla stesura di studi, di statistiche e di documentazioni relative alle materie sulle quali si svolgono le attività istituzionali del Consiglio regionale” (sentenza n. 1130 del 1988).

L’eventuale attività materiale di maneggio del denaro costituisce, quindi, in relazione al complesso ruolo istituzionale del presidente di gruppo consiliare, rilevante per il forte rilievo politico e per l’importanza delle funzioni di rappresentanza, direttive e organizzative ad essi attribuite, un aspetto del tutto marginale e non necessario (perché i gruppi consiliari ben potrebbero avvalersi per tale incombenza dello stesso tesoriere regionale), e non ne muta la natura eminentemente politica e rappresentativa della figura, non riducibile a quella dell’agente contabile.

Pertanto, il giudice contabile non poteva esercitare la propria giurisdizione di conto per assenza, in capo ai presidenti dei gruppi consiliari, della qualifica soggettiva di agente contabile.

Come evidenziato recentemente dalla Corte dei conti con la sentenza n. 30 del 2014, il sistema dei controlli posto in essere con l’entrata in vigore del d.l. 174/2012 (11 ottobre 2012), sebbene non vigente negli esercizi di bilancio interessati dagli odierni conflitti, è rilevante dal punto di vista sistematico, poiché è evidente che l’attribuzione del potere di verifica della regolarità dei rendiconti dei gruppi consiliari alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti pone rimedio a un vuoto di attribuzioni in materia della magistratura contabile, ossia quello relativo all’esercizio della giurisdizione di conto nei confronti dei presidenti dei gruppi consiliari.

Vuoto normativo che, nel caso di specie, ha reso l’azione del giudice contabile lesiva dell’autonomia organizzativa e contabile delle regioni, e in particolare quella dei rispettivi Consigli regionali.

 


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