L’Università è un operatore economico e può partecipare a gare indette da altri enti.
Questo il principio enunciato dal Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 5767 del 21 novembre 2014, chiamato ad esprimersi sulla questione, tutt’altro che pacifica, relativa alla possibilità delle Università degli Studi di partecipare alle gare pubbliche.
Il Collegio ha, quindi, riformato la sentenza del Tar, secondo cui le Università non possono assumere la veste di appaltatore di servizi, anche al fine di eliminare il pericolo di falsare la concorrenza in virtù dei finanziamenti pubblici di cui beneficiano.
La giurisprudenza comunitaria, in virtù del principio della massima apertura al mercato a tutti gli operatori pubblici e privati, predilige un’interpretazione estensiva della nozione di “ente pubblico”, tale da includere anche organismi che non perseguono un principale scopo di lucro, che non hanno una struttura organizzativa d’impresa e che non assicurano una presenza continua sul mercato (Corte di Giustizia CE, sezione IV, 23 dicembre 2009, n. 305; Corte di Giustizia CE, sentenza 19 maggio 2009, causa C 538/07).
Allo stesso modo, la disciplina nazionale non contiene norme che precludono la partecipazione a procedure di evidenza pubblica delle università degli studi.
La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza 326/2008, nel ribadire il principio dell’intangibilità in via di principio della libertà di iniziativa economica privata degli enti pubblici, ha sottolineato la necessità “di evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali”.
Il principio da affermare, secondo il Collegio, è, quindi, quello che depone per l’apertura alla concorrenza anche in casi in cui acquisiscano la veste di “operatori economici” taluni enti pubblici astrattamente beneficiari di finanziamenti statali, allorché non vi sia alcuna prova di connessione tra il sostegno pubblico e la partecipazione e l’aggiudicazione di una gara d’appalto.