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Dipendente pubblico e titolare di azienda agricola


I dipendenti pubblici, secondo quanto stabilito dall’articolo 98 Cost., sono tenuti al dovere di esclusività della prestazione nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza, non potendo, quindi, cumulare più impieghi.

Tale principio ha trovato la sua concreta attuazione nella legislazione di riforma del lavoro pubblico e soprattutto nell’articolo 53 del d.lgs. 165/2001, il quale disciplina i casi di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi.

L’unico temperamento a tale disciplina è rappresentato dalle disposizioni contenute nella Legge 662/1996, laddove viene consentito ai dipendenti pubblici, con rapporto di lavoro part-time non superiore al 50%, di svolgere, previa valutazione dell’esistenza di un eventuale conflitto di interessi operata dalle Amministrazioni, attività libero-professionale ed attività di lavoro subordinato o autonomo.

Il comma 1 dell’articolo 53 del citato T.U. sul pubblico impiego, estendendo la disciplina prevista per i dipendenti dello Stato di cui all’articolo 60 del d.p.r. 3/1957, a “tutti i dipendenti pubblici” individua le attività assolutamente incompatibili con il rapporto di pubblico impiego stabilendo il divieto di “esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro”.

Il comma 6 dell’articolo 53 individua i casi di compatibilità per i quali si prescinde dal rilascio dell’autorizzazione da parte dell’Amministrazione

Dal combinato disposto dei commi 6 e 7 dell’articolo 53 sono disciplinati gli incarichi retribuiti, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso, i quali devono essere conferiti o previamente autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza.

Rispetto a tali fattispecie, è necessario richiamare l’interpretazione più restrittiva sostenuta dalla Funzione pubblica.

In particolare, con le due Circolari 3/1997 e 6/1997 sono state fornite alcune importanti indicazioni in tema di incompatibilità.

A conferma del principio di esclusività del rapporto di pubblico impiego, la Circolare 3/1997 ha precisato che “le attività consentite sono, comunque, un eccezione a fronte del più generale e prevalente principio di incompatibilità, il potere di autorizzazione va esercitato, ad opera dell’amministrazione di appartenenza, secondo criteri oggettivi, idonei a verificare la compatibilità dell’attività extra-istituzionale, oggetto del singolo incarico, alla luce della natura dell’attività medesima, delle sue modalità di svolgimento, dell’impegno richiesto”.

Nella circolare 6/1997 il dipartimento ha aggiunto che “occorre inoltre accertare se le attività esercitabili interferiscono con quella ordinaria, e se concretizzano occasioni di conflitto d’interesse”, specificando che “queste ultime devono essere valutate non solo all’atto della richiesta di trasformazione del rapporto ma anche in seguito”, poiché “il conflitto è, infatti, riscontrabile sia al momento della richiesta, secondo la comparazione tra l’attività istituzionale e quella che si intende svolgere fuori dell’orario, sia successivamente”.

Sono ritenute pertanto incompatibili le attività extra istituzionali che non sono caratterizzate dal requisito della saltuarietà ed occasionalità, considerandole eccezioni rispetto al generale principio di incompatibilità previsto dall’articolo 53 del d.lgs. 165/2001.

Il requisito dell’occasionalità si esprime anche nell’irrilevanza dell’impiego assunto, in quanto comportano un impegno marginale o comunque non prevalente e al di fuori dell’orario d’ufficio.

Il dipendente può ottenere l’autorizzazione, da parte dell’Amministrazione di appartenenza, allo svolgimento di altre attività se l’incarico che andrà a ricoprire rispetta i seguenti requisiti:

– temporaneità e occasionalità. Sono, quindi, autorizzabili le attività esercitate sporadicamente ed occasionalmente, anche se eseguite periodicamente e retribuite, qualora per l’aspetto quantitativo e per la mancanza di abitualità, non diano luogo ad interferenze con l’impiego;

– non deve essere in conflitto con gli interessi dell’Amministrazione e con il principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione;

– compatibilità dell’impegno lavorativo, derivante dall’incarico, con l’attività lavorativa di servizio, cui il dipendente è addetto, tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento;

– l’attività deve essere svolta al di fuori dell’orario di servizio.

La valutazione dell’Amministrazione deve essere basata sulla verifica della sussistenza di un eventuale conflitto o interferenza con le esigenze di servizio derivanti dal tipo di incarico o dall’attività e intensità dell’impegno richiesto.

La richiesta di autorizzazione deve essere accompagnata da una dettagliata relazione da cui risultino chiaramente il tipo di attività svolta, l’impegno dedicato a tale attività e ogni altra utile informazione, come chiarito anche dalla citata circolare 6/1997, che ha precisato che “il dipendente è, comunque, sempre tenuto a fornire indicazioni non generiche sulle condizioni di svolgimento delle attività ulteriori; in questo modo l’amministrazione sarà in grado di valutare l’esistenza di elementi idonei a motivare il rilascio dell’autorizzazione, o il rifiuto della stessa”.

È opportuno che l’Amministrazione fissi con Regolamento i criteri che verranno utilizzati, di volta in volta, per concedere l’autorizzazione allo svolgimento di attività ulteriori, indicando quali situazioni in astratto possono essere ritenute compatibili, per contenuti, qualità e modalità della prestazione.

In assenza di una puntuale determinazione di specifici ed oggettivi criteri operativi da parte dell’Amministrazione, la valutazione dell’autorizzabilità o meno di ogni incarico esterno diventa spesso difficile e incerta, con il rischio di non adottare soluzioni uniformi e non garantire ai dipendenti un trattamento univoco ed imparziale.

In tale contesto, relativamente alla specifica fattispecie del dipendente pubblico full-time che richieda l’autorizzazione al possesso di una partita Iva quale titolare di azienda agricola a conduzione familiare, la Funzione pubblica, nella citata circolare 6/97, ha chiarito che la partecipazione in società agricole a conduzione familiare è configurabile quali attività rientrante tra quelle compatibili solo se l’impegno richiesto è modesto e non abituale o continuato durante l’anno.

Il giudice amministrativo, nel richiamare un parere espresso dal Dipartimento della funzione pubblica, ha evidenziato nello specifico che, in relazione all’esercizio di attività agricole, l’apertura della partita I.V.A. di per sé non è un elemento che rende incompatibile il suo esercizio, purchè la stessa comporti un impegno modesto e non abituale o continuato durante l’anno (T.A.R. Basilicata, Potenza, sentenza 195/2003).

Pertanto, detta attività sarà autorizzabile con l’unico limite che la stessa non richieda un impegno assiduo, incompatibile, come tale, con lo svolgimento di un rapporto di pubblico impiego a tempo pieno.

Spetterà, in proposito, all’Amministrazione valutare la compatibilità dell’attività di imprenditore agricolo, in relazione alle modalità concrete nelle quali si effettua, nonchè verificare che le modalità di svolgimento di detta attività presentino caratteristiche tali da non interferire con l’attività lavorativa ordinaria del dipendente.

In caso contrario, infatti, si realizzerebbe una situazione di vera e propria incompatibilità col rapporto di pubblico impiego in essere.

 


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