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Fondo incentivante: l’articolo 4, comma 3 del d.l. 16/2014 a chi giova?


Le disposizioni contrattuali che disciplinano la costituzione e l’utilizzo delle risorse del fondo incentivante per il personale, dirigente e non, degli enti locali hanno in alcuni casi un contenuto articolato e complesso.

La modifica introdotta dal Ccnl. 22 gennaio 2004, per il personale non dirigente, nelle intenzioni delle parti sociali avrebbe dovuto chiudere un periodo caratterizzato da grande incertezza e difficoltà interpretativa, che aveva determinato contrastanti prassi attuative.

Il contesto normativo non è stato però semplificato e le incertezze applicative sono state addirittura ampliate, anche alla luce delle diverse e contrastanti interpretazioni che sono state fornite da alcuni enti di riferimento (Aran, Anci e Ragioneria).

Il contrasto interpretativo ha condizionato l’attuazione di tali disposizioni, almeno fino a quando le interpretazioni (più restrittive) sostenute dalla Ragioneria generale dello Stato sono divenute di fatto “le più forti”, anche per i vincoli di contenimento della finanza pubblica che proprio dal 2010 hanno condizionato in modo particolarmente stringente l’operato degli enti e tutte le interpretazioni delle disposizioni vigenti in materia.

In tale contesto, gli operatori degli enti locali hanno vissuto (sulla propria pelle, almeno alcuni) negli ultimi anni un drastico cambiamento interpretativo e alcune prassi consolidate, che in passato erano state riconosciute corrette, sono state disconosciute e qualificate come illegittime.

Oggi, nonostante il quadro normativo invariato dal 2004, è “pacifico” che determinati comportamenti non sono corretti, ma “ora per allora” perché fino ad alcuni anni fa questa “certezza” non c’era.

La norma contenuta nell’articolo 4 del d.l. 16/2014 ha la finalità di sancire (definitivamente) l’illegittimità di determinate “abitudini” e di imporre il recupero delle somme che sono state messe a disposizione del fondo dei dipendenti in modo non corretto.

L’intento dovrebbe quindi essere quello di chiudere definitivamente questa fase e consentire agli enti di tutelare le posizioni dei dipendenti che in buona fede hanno lavorato per quanto richiesto e percepito somme che non avrebbero dovuto essere messe a disposizione della contrattazione.

Se questa è la ratio, vera, ispiratrice dell’articolo 4, il comma 3 necessita di non poche “correzioni”, in quanto l’attuale versione, non solo non raggiunge in alcun modo tale intento, ma anzi pare premiare chi negli anni, ha quantificato correttamente le risorse del fondo (pochi, pochissimi), ma le ha usate in modo non corretto.

Chi ha, anche solo per pochi euro, erroneamente quantificato il fondo, ma ha utilizzato le risorse rispettando i principi e criteri contrattuali, dovrà (correttamente) recuperare le somme sui fondi degli anni successivi (comma 1), ma non potendo beneficiare della “sanatoria” del comma 3, dovrebbe andare a recuperarle anche verso i propri dipendenti, che le hanno percepite per il lavoro che hanno realmente svolto.

La prima domanda quindi che sorge spontanea è: chi non ha dato un solo euro in più rispetto al dovuto, non ha causato alcun danno, perché quindi dovrebbe beneficiare di una sanatoria? Non c’è alcuna sanatoria, perché spacciare tale norma per un condono?

Ma se a ben vedere ci fosse davvero qualcuno che ha sbagliato e che potrebbe beneficiarne, di quali errori stiamo parlando? Potrebbero beneficiarne gli enti che hanno quantificato nel complesso correttamente il fondo, ma hanno ad esempio pagato le progressioni economiche con le risorse variabili? Leggendo l’attuale testo del comma 3, potrebbe sembrare di si.

A parte queste prime riflessioni “a caldo”, le criticità maggiori che sembrano riscontrarsi nel comma 3 sono le seguenti:

 “agli atti di utilizzo dei fondi per la contrattazione decentrata adottati”: negli enti locali non ci sono atti di utilizzo adottati. Gli atti che determinano come utilizzare il fondo sono i contratti decentrati, ma questi non si adottano, sono sottoscritti tra le parti. La parte pubblica, prima della sottoscrizione definitiva chiede l’autorizzazione alla giunta. Quindi, forse il legislatore intendeva far riferimento a questi atti di autorizzazione che sono stati adottati dall’organo politico competente;

 “riconoscimento giudiziale della responsabilità erariale”: perché non utilizzare l’inciso “sentenze di condanna”, termine che evita distorte interpretazioni?;

 “che hanno rispettato il patto di stabilità interno”: quando? Negli anni “contestati”? quando è stata adottata la decisione di recuperare? Negli anni in cui si effettua il recupero? Basta un anno in cui si verifica o si è verificato un eventuale sforamento per non beneficiare più di tale sanatoria?

 “la vigente disciplina in materia di spese ed assunzione di personale”: quando? Negli anni “contestati”? quando è stata adottata la decisione di recuperare? Negli anni in cui si effettua il recupero?;

 “nonché le disposizioni di cui all’articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”: quando? Dal 2011? Dal 2012? La norma infatti in alcune parti è entrata in vigore per gli enti locali nel 2011, in altre solo dal 2012. Agli enti locali il comma 28 ad esempio è stato esteso solo dal 1° gennaio 2012 e per alcune sezioni regionali di controllo era applicabile anche per i contratti a termine sottoscritti nel 2009 e legati al mandato amministrativo. Al 1° gennaio 2012 questi erano tutti contratti in essere e, considerando applicabile il vincolo del 50% della spesa sostenuta nel 2009 comma 28 anche a tali contratti, ha reso automaticamente gli enti fuori regola. Per questi enti è impossibile ottenere la sanatoria prevista dal comma 3.

Si auspica quindi che in sede di conversione del decreto vengano fatte almeno alcune riflessioni sugli effetti che l’attuale comma 3 dell’articolo 4 del d.l. 16/2014 produrrà se dovesse essere lasciato com’è.

 


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