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Servizi sociali: illegittima la procedura “aperta” riservata alle imprese no profit


La clausola limitativa della partecipazioni ad una gara avente ad oggetto l’affidamento di servizi sociali a soggetti no profit viola i principi di massima partecipazione e di par condicio.

Questo quanto ribadito dall’Avcp, nel parere n. 30 del 13 marzo 2013, con il quale ha risposto all’istanza di una cooperativa che aveva lamentato l’illegittimità dell’operato della stazione appaltante che aveva riservato la partecipazione ad una gara pubblica avente ad oggetto l’affidamento di servizi sociali a determinati soggetti.

Nel caso di specie, la stazione appaltante aveva indetto una gara avente ad oggetto l’affidamento in gestione del servizio di asilo nido e, considerato che i servizi oggetto dell’appalto rientrano nell’allegato II B del Codice dei contratti pubblici, la stazione appaltante aveva previsto l’applicazione dei soli articoli 65, 68 e 225 del medesimo decreto.

Nell’avviso di selezione, quindi, la partecipazione alla gara era stata riservata ai soggetti ricadenti in una delle seguenti categorie:

 imprese sociali di cui al d.lgs. 155/2006 iscritte al Registro delle imprese ai sensi dell’art. 5, comma 2 del medesimo Decreto;

 Cooperative sociali o Consorzi di cooperative sociali iscritte nella sezione A o C dell’Albo istituito dalla Regione Toscana con l.r. 87/1997;

 Cooperative Sociali o Consorzi di Cooperative Sociali non iscritte all’Albo ex legge 381/1991, in quanto con sede legale in Regioni che ancora non ne dispongono, purché in possesso dei requisiti previsti per l’iscrizione all’Albo della Regione Toscana, fatta eccezione per l’obbligo di sede legale in Toscana.

La questione relativa alla possibilità per le stazioni appaltanti di applicare nei confronti delle imprese sociali – alla luce della disciplina del Codice – una disciplina derogatoria o privilegiata per la partecipazione alle gare pubbliche o per l’esecuzione di appalti pubblici è stata già oggetto di trattazione da parte dell’Autorità, precisamente nel parere sulla normativa AG 24/10 dell’8 luglio 2010.

In tale occasione l’Autorità ha chiarito che la categoria degli enti no profit indica tutti quei soggetti, comunque denominati, che – non perseguendo, come le società commerciali, scopi di lucro – reinvestono gli utili all’interno della organizzazione, per il perseguimento degli scopi sociali, senza prevederne una redistribuzione tra gli associati.

Vi rientrano, dunque, le associazioni, riconosciute e non riconosciute, le fondazioni e le società cooperative, disciplinate nel codice civile, nonché le associazioni di volontariato di cui alla legge 266/1991, recante la “Legge quadro sul volontariato”, le associazioni di utilità sociale Onlus, di cui al d.lgs. 460/1997, recante “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, le associazioni di promozione sociale, di cui alla legge 383/2000, recante “Disciplina delle associazioni di promozione sociale”, nonché le cooperative sociali, di cui alla legge 381/1991, recante “Disciplina delle cooperative sociali”.

Tali discipline sono, prevalentemente, dettate allo scopo di riconoscere, alle indicate categorie, agevolazioni e disposizioni di favore sotto il profilo fiscale, tributario, di accesso al credito, etc.

Nell’applicazione della disciplina del Codice, anche quando si tratti di appalti riconducibili alle categorie di cui all’allegato II B, risulta applicabile il principio generale affermato dalla giurisprudenza comunitaria, in base al quale ai fini della partecipazione alle gare d’appalto è irrilevante la forma giuridica dell’operatore economico.

L’Avcp ha chiarito che alle stazioni appaltanti non è consentito apporre riserve di partecipazione alle gare di appalto ai soli soggetti no profit.

L’unica deroga ammessa dal Codice, in considerazione delle qualità dei soggetti affidatari o degli aspetti sociali dell’attività oggetto di appalto, è quella contenuta nell’articolo 52, rivolta a soggetti che rivestono le caratteristiche dei “laboratori protetti”.

Con l’articolo 52 del Codice dei contratti pubblici, il legislatore ha inteso perseguire le esigenze sociali di cui all’articolo 2, comma 2, del d.lgs. 163/2006, introducendo una deroga alle condizioni normali di concorrenza in favore di soggetti giuridici e di programmi che promuovono l’integrazione o la reintegrazione dei disabili nel mercato del lavoro.

L’Avcp ha chiarito che, pur essendo entrambe le disposizioni (articolo 52 del d.lgs. 163/2006 e legge 381/91) finalizzate al perseguimento di fini sociali, dall’analisi della normativa emerge che le due figure – laboratorio protetto e cooperativa sociale – non coincidono, in quanto i requisiti richiesti per il riconoscimento della figura del laboratorio protetto non corrispondono a quelli normativamente previsti in capo alle cooperative sociali, sia per quanto riguarda le categorie di persone individuate (persone svantaggiate e non solo disabili) sia per quanto attiene alla percentuale minima di organico che deve essere costituita da dette persone svantaggiate.

Alla luce di tali considerazioni, l’Avcp ha ritenuto illegittima la clausola limitativa della partecipazioni alle sole cooperative sociali, in quanto contraria ai principi di massima partecipazione e di par condicio.

 


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