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Contratti di disponibilità: le spese sono fuori dal patto


La spesa sostenuta dall’ente locale come corrispettivo di un contratto di disponibilità, relativo ad un’opera privata destinata ad un servizio pubblico, non rientra nel patto di stabilità interno se il privato si assume il rischio di costruzione e quello di disponibilità o di domanda (ex art. 160-ter d.lgs. 163/2006).

Nel caso in cui, al contrario, sia previsto un corrispettivo per il trasferimento della proprietà dell’immobile, la spesa deve essere classificata come spesa per investimento, determinando quindi un indebitamento per l’ente locale.

Questo il chiarimento fornito dalla Corte dei Conti, sezione controllo della Lombardia, con la deliberazione n. 439 del 23 ottobre 2012, con la quale ha risposto a un quesito posto da una provincia in merito a se la stipula del contratto di disponibilità incida sulla capacità dell’ente locale di indebitarsi ai sensi dell’articolo 204 del Tuel e se i canoni di disponibilità, ai fini del calcolo del patto di stabilità, devono essere imputati alla spesa corrente o alla spesa per investimenti.

L’istituto giuridico del contratto di disponibilità, disciplinato dall’articolo 3, comma 15-bis e articolo 160-ter del Codice degli appalti, viene ricondotto dallo stesso legislatore nella più generale categoria dei contratti di partenariato pubblico privato, ossia i “contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti”.

Nel caso di specie, la provincia ha stipulato un contratto di disponibilità con il quale è stata affidata la costruzione e la messa a disposizione, a favore dell’amministrazione aggiudicatrice, di un’opera di proprietà privata destinata all’esercizio di un servizio pubblico a fronte di un corrispettivo.

Tale contratto, come ricordato dalla magistratura contabile in sede consultiva, si presta ad essere utilizzato “per la realizzazione di opere c.d. “fredde”, cioè di infrastrutture destinate all’utilizzazione diretta della pubblica Amministrazione per lo svolgimento di un pubblico servizio (ad es. uffici pubblici)” (C. Conti, sez. contr. Puglia, del. n. 66/PAR/2012 del 31 maggio 2012).

Come affermato dalla giurisprudenza contabile, il contratto di disponibilità è considerato un accordo di partenariato pubblico-privato e, quindi, è assoggettato alle decisioni Eurostat (cfr. C. Conti, sez. contr. Puglia, del. n. 66/PAR/2012 del 31 maggio 2012).

Da tale inquadramento di carattere sistematico, discende che l’interprete del caso concreto deve valorizzare il profilo dell’allocazione dei rischi tra il soggetto pubblico e quello privato “ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti” (ex comma 15-ter, art. 3, d.lgs. 163/2006).

I magistrati contabili hanno precisato che i beni oggetto del contratto di partenariato pubblico-privato non devono essere registrati nei conti delle p.a. ai fini del calcolo dell’indebitamento netto e del debito solo se c’è un sostanziale trasferimento del rischio dalla parte pubblica alla parte privata.

Inoltre, è necessario accertare, in concreto, che l’entità del canone non sia tale da coprire anche i costi del finanziamento.

Nel caso in cui, applicando rigorosamente il criterio del riparto dei rischi tra pubblico e privato, il contratto di disponibilità non costituisca in concreto una forma di indebitamento è possibile escludere l’iscrizione in bilancio del canone di disponibilità quale spesa di investimento.

Diversamente, laddove in capo all’amministrazione sia prevista la facoltà di riscatto [ex art. 160-ter, comma 1, lett. c)], il canone sarà calcolato come spesa per investimento, in quanto forma di indebitamento (Corte dei Conti, S.R., deliberazione n. 49/2011).

 


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