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Si possono sommare le quote delle cessazioni “non utilizzate”? Solo la Corte dei conti Toscana dice no


I limiti al turn over costituiscono per gli enti un vincolo particolarmente rigido, che spesso determina carenze di personale anche in settori delicati e strategici. L’articolo 76, comma 7 del d.l. 112/2008 consente ai comuni soggetti al patto di poter assumere nei limiti del 40% della spesa sostenuta per le cessazioni intervenute nell’anno precedente.

La maggior parte dei comuni ha dimensioni medio-piccole e quasi mai si realizzano nel corso di un unico anno un numero di cessazioni sufficienti a consentire l’assunzione anche di una sola unità, compromettendo fortemente la capacità degli stessi enti di erogare servizi.

L’articolo 9, comma 11, del d.l. 78/2010 stabilisce che “Qualora per ciascun ente le assunzioni effettuabili in riferimento alle cessazioni intervenute nell’anno precedente, riferite a ciascun anno, siano inferiori all’unità, le quote non utilizzate possono essere cumulate con quelle derivanti dalle cessazioni relative agli anni successivi, fino al raggiungimento dell’unità” e molti enti hanno chiesto alle sezioni regionali della Corte dei Conti se tale disposizione, non applicabile direttamente agli enti locali, costituisse comunque norma di principio e quindi valevole anche per questi ultimi.

Molte sezioni regionali hanno fornito pareri favorevoli a tale richiesta (Veneto, Puglia, Abruzzo, Lombardia, Calabria), mentre la Toscana ha risposto negativamente, determinando una disparità di trattamento incoerente e illogica tra enti appartenenti a regioni diverse.

La Corte dei Conti della Toscana, con la deliberazione n. 30/2012, ha risposto negativamente, sostenendo che il citato comma 11 dell’articolo 9, si applicherebbe tassativamente alle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 523, della legge 296/2006. Tale interpretazione sarebbe giustificata da quanto indicato nella relazione illustrativa del Senato  al disegno di legge di conversione del d.l. 78/2010 ove è stato previsto che i commi “da 5 a 12 dell’articolo 9 non siano indirizzati agli enti locali”.

Da tale indicazione, i magistrati contabili della Toscana, farebbero derivare il divieto per i comuni di poter sommare eventuali quote di cessazioni non utilizzate negli anni precedenti.

La Corte dei Conti della Toscana non ha fatto alcun cenno al fatto che il così detto “cumulo dei resti” è stato pacificamente ammesso per gli enti non assoggettati al patto di stabilità, come chiarito anche tenuti delle Sezioni riunite della Corte dei conti nella deliberazione n. 52/2010, proprio in ordine alla disposizione di contenimento della spesa contenuta nell’articolo 1, comma 562, della legge 296/2006.

Tale deliberazione ha portato ad una rilettura del significato dell’espressione “nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno”, a suo tempo affermata dalla Sezione delle autonomie con la deliberazione n. 5/2006.

Per le Sezioni riunite, il comma 562 consente agli enti non soggetti al patto di stabilità interno di effettuare le assunzioni di personale a tempo indeterminato in sostituzione di quello cessato non solo nell’anno immediatamente precedente a quello delle assunzioni, ma anche in quelli anteriori a partire dal primo anno di efficacia (2007) della legge 296/2006.

La Corte dei Conti, sez. contr. del Veneto, nelle deliberazioni n. 403 e 488 del 2012, ha chiarito che, in relazione all’operatività del vincolo previsto dall’articolo 76, comma 7, vi sia un’identità di ratio con il citato comma 562.

In entrambe le disposizioni, infatti, l’intento del legislatore è quello di incidere sulla dinamica occupazionale, contenendola (art. 1 comma 562 della legge 296/2006) o riducendola (art. 76, comma 7, del D.L. 112/2008), anziché su quella retributiva, quale strumento indiretto di contenimento della spesa di personale (Corte dei Conti, sez. contr. Puglia, deliberazione n. 80/2011).

Entrambe le disposizioni, infatti, pur introducendo un vincolo puntuale finalizzato al mantenimento o alla riduzione della dinamica occupazionale, tendono a garantire l’autonomia organizzativa dell’ente “ovvero che l’ente locale sia libero di autodeterminarsi sul momento in cui effettuare l’assunzione” (Corte dei Conti, sez. contr. Puglia, deliberazione n. 59/2012).

Inoltre, entrambe le norme siano potenzialmente dotate di un’efficacia non limitata nel tempo e che, indipendentemente dalla natura del parametro utilizzato per le cessazioni (quello capitario, nel comma 562, o quello finanziario, nell’articolo 76 comma 7) e dal coefficiente di sostituzione (100% o 40%), l’intento delle due disposizioni non appare quello di precludere l’assunzione qualora non avvenga nell’anno successivo a quello di integrazione del coefficiente, “altrimenti verrebbero ingiustificatamente discriminate le amministrazioni che intendono ridurre la spesa di personale indugiando nel consentire l’ingresso di nuovo personale nel proprio organico, ma quello di stabilire un principio di turn-over a validità diacronica” (Corte dei Conti, sez. contr. Puglia, deliberazione n. 59/2012).

Alcune sezioni regionali di controllo hanno ampiamente ribadito come vi sia una “identità di ratio” tra le due norme – ossia tra le disposizioni che regolano il turn over, rispettivamente, negli enti non soggetti e negli enti soggetti al patto di stabilità – che consente un’interpretazione analoga (ossia non letterale) del riferimento temporale in esse contenuto (Corte dei Conti, sez. contr. Lombardia, deliberazione n. 167/2011).

Fermo restando l’obiettivo di riduzione tendenziale della spesa del personale, imposto per gli enti soggetti al patto dall’articolo 1, comma 557 della legge 296/2006, è corretto che sia riconosciuto agli enti la possibilità di modulare l’esercizio delle facoltà assunzionali (Corte dei Conti, sez. contr. Veneto, deliberazione n. 403/2012).

Anche i magistrati contabili della Calabria hanno precisato che “laddove risultino rispettati tutti i parametri, vincoli e limiti previsti per gli enti soggetti al patto di stabilità interno – ivi compreso l’obbligo di riduzione progressiva della spesa del personale imposto dall’articolo 1, comma 557, della legge 296/2006 – non vi sarebbe ragione per comprimere l’autonomia organizzativa dell’ente, impedendo un turn over parametrato alle cessazioni intervenute anche negli anni precedenti” (Corte dei Conti, sez. contr. Calabria, deliberazione n. 22/2012).

L’interpretazione estensiva appare preferibile, anche e soprattutto sotto il profilo della ragionevolezza, risultando, peraltro, maggiormente rispettosa dell’autonomia organizzativa degli enti locali, costituzionalmente garantita. Ove tali enti siano in grado di assicurare l’osservanza di tutti i limiti ed i vincoli imposti dall’ordinamento finanziario-contabile – quale l’obbligo di assicurare un andamento decrementale, progressivo e costante, della spesa del personale – è ragionevole consentire l’utilizzo dei risparmi sulla spesa del personale conseguiti negli anni precedenti e non utilizzati per ragioni varie, ai fini del turn over, nei limiti della percentuale indicata nella norma.

L’orientamento maggioritario seguito dai magistrati contabili, quindi, ritiene che non osti al conseguimento dell’obiettivo di riduzione della spesa di personale, l’utilizzo della percentuale assunzionale residuale, in applicazione dell’articolo 76, comma 7 del d.l. 112/2008, qualora la stessa venga cumulata nell’esercizio successivo al fine di ottenere la possibilità di effettuare un’assunzione a tempo indeterminato.

Agli enti soggetti al patto di stabilità, secondo molte sezioni regionali di controllo, non è preclusa la possibilità di effettuare assunzioni qualora queste siano possibili solo a seguito del cumulo della percentuale di spesa, di cui all’articolo 76, comma 7, applicabile alle cessazioni intervenute anche nell’esercizio precedente e “ai resti” non utilizzati in tale esercizio.

Infine, appare interessante ricordare quanto chiarito dalla Corte dei Conti, sez. reg. del Veneto, sull’effetto di compressione dell’autonomia organizzativa degli enti locali, in contrasto con i principi costituzionali in materia di coordinamento della finanza pubblica, che deriverebbe da una rigida interpretazione del citato articolo 76, comma 7.

Inoltre, l’impossibilità di reintegrare le cessazioni intervenute in anni precedenti, per effetto dei vincoli imposti dall’articolo 76, comma 7, intesi nel senso più restrittivo, potrebbe determinare un’eccessiva riduzione degli organici, ben al di sotto del fabbisogno necessario ad assicurare lo svolgimento delle funzioni fondamentali dell’ente.

Infine, si ritiene necessario evidenziare che la norma, se diversamente intesa, finirebbe con il discriminare gli enti che, in un determinato anno, hanno avuto una minore concentrazione di cessazioni (e che rischiano di vedere addirittura azzerata la percentuale) rispetto a quelli che, avendone avuto un numero maggiore, sfrutteranno in pieno la percentuale di turn over, ma potrebbero verificarsi situazioni ancor più paradossali. Qualora l’ente, impossibilitato, sempre in ragione dei suddetti vincoli, a rimpiazzare, nell’anno immediatamente successivo, il personale cessato, si trovasse costretto a conseguire un obiettivo di riduzione della spesa più consistente di quello parametrato sulla relativa spesa sostenuta nell’anno precedente, e ciò si verificasse per più esercizi consecutivi, la spesa tendenziale, nel medio lungo periodo, potrebbe addirittura azzerarsi. L’interpretazione che consente agli enti locali un utilizzo più “effettivo” della percentuale del turn over prevista dal comma 7 dell’art. 76, risulta maggiormente coerente con la modifica legislativa apportata, di recente, dall’articolo 4-ter, comma 10, lett. b), del d.l. 16/2012, che ha elevato la percentuale di cui si discut (dal 20 al 40%)”.

Infine, appare opportuno richiamare l’interpretazione fornita delle Sezioni riunite della Corte dei conti con la deliberazione n. 46/2011 in base alla quale “ragioni di ordine sistematico inducono a ritenere che nel complesso della spesa presa a riferimento per quantificare la percentuale del 20% debbano essere inclusi anche gli stanziamenti non utilizzati inerenti al personale a tempo indeterminato cessato e non sostituito nel corso del 2010”.

Appare, pertanto, quanto meno auspicabile che anche la Corte dei Conti della Toscana, “ripensi” all’interpretazione sostenuta nella citata deliberazione n. 30/2012, fornendone una maggiormente in linea con i principi e le considerazioni sopra evidenziate.


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