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Il taglio delle spese non legittima la gratuità delle prestazioni lavorative


Le p.a. non possono obbligare un dipendente a rinunciare al compenso per attività lavorative ulteriori rispetto a quelle di competenza.

E’ questo il principio affermato dal Tar Puglia, nella sentenza n. 1123/2012 in commento, con la quale ha accolto il ricorso di un ricercatore universitario a cui il proprio Ateno non aveva riconosciuto il compenso per le supplenze svolte in sostituzione di un collega assente.

Nel caso di specie, Il Consiglio di facoltà di un’Università aveva affidato a una ricercatrice alcune supplenze a titolo retribuito. L’interessata, avendo correttamente espletato l’incarico affidato, e non avendo ricevuto alcun compenso, ha diffidato l’Università a corrisponderle il compenso dovuto. Con una nota l’Università ha dichiarato che le sue richieste non potevano trovare accoglimento e la ricercatrice ha impugnato tale atto, deducendo la sussistenza del diritto soggettivo alla corresponsione del compenso maturato per l’incarico affidato, avendo correttamente espletato l’attività di supplenza semestrale.

Il Tar ha chiarito che nonostante il bando interno relativo alle supplenze stabilisse che “le supplenze sono retribuite esclusivamente con oneri a carico degli ordinari stanziamenti dello stato di previsione del bilancio universitario, pertanto, gli interessati sono informati che la supplenza potrà avere una retribuzione ridotta, qualora i citati fondi non saranno sufficienti”, per pacifica e condivisa giurisprudenza di legittimità, non è ammissibile una rinuncia preventiva al compenso da parte del lavoratore.

Tale condizione, pertanto, deve essere ritenuta nulla e, come tale, non vincolante nei confronti del lavoratore.

La rinuncia, come fattispecie estintiva, deve riguardare una situazione giuridica completa di cui il soggetto è titolare o, in specifiche fattispecie, una situazione in divenire, come il diritto di accettare l’eredità. E’ privo di un elemento essenziale il negozio che riguardi qualcosa di cui non si è titolari.

Il bando pubblicato dall’Ateneo prevedeva la possibilità che la retribuzione fosse ridotta, non esclusa, com’è avvenuto al contrario nel caso di specie.

Inoltre, i magistrati amministrativi hanno chiarito che la partecipazione alla selezione non implica l’accettazione di tutte le clausole contenute nel bando se queste sono sostanzialmente vessatorie.

La prestazione lavorativa avrebbe potuto, nel caso di specie, essere gratuita solo se le supplenze non avessero fatto superare il monte orario previsto per le attività didattiche, ai sensi all’articolo 11-quater del d.l. 120/1995 e all’articolo 12, comma 7, della legge 341/1990.

Il Tribunale amministrativo ha ritenuto, pertanto, illegittima la decisione dell’Ateneo di non pagare le supplenze, poiché, anche se il bando interno disponeva che gli incarichi affidati potevano subire una decurtazione perché “le supplenze sono retribuite esclusivamente con oneri a carico degli ordinari stanziamenti dello stato di previsione del bilancio universitario”, ciò non doveva escludere del tutto il compenso per gli incarichi di sostituzione.

Il Tar, pertanto, ha dichiarato illegittima la decisione dell’Ateneo di non corrispondere al ricercatore il compenso per le ore di lezione svolte in qualità di supplente.

 


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