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Servizio idrico integrato: è illegittimo l’aumento una tantum della tariffa con effetto retroattivo


Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 3920/11
di Chiara Zaccagnini

È illegittimo l’aumento una tantum della tariffa per sostituire i ricavi venuti meno, in quanto si tratta di un’imposizione retroattiva e che escluse il nesso di corrispettività.

È quanto affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza in commento, che ha dichiarato l’illegittimità di una Delibera adottata da un’Ato per fronteggiare gli effetti della pronuncia della Consulta, che aveva dichiarato illegittima la previsione secondo la quale “la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”.

Nel caso di specie, un’Ato aveva adottato una serie di misure volte a fronteggiare gli effetti della dichiarazione di illegittimità dell’art. 14, comma 1, della Legge n. 36/94 e l’art. 155, comma 1 primo periodo, del Dlgs. n. 152/06 pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 335/08, disponendo un intervento di riarticolazione tariffaria in ordine agli effetti della predetta sentenza sul Piano d’ambito per sostenere i maggiori oneri conseguenti all’aumento del costo di acquisto dell’acqua.

In particolare, il provvedimento prevedeva tra le varie misure l’incremento una tantum della quota della tariffa fissa per tutti gli utenti.

A seguito della Delibera adottata dall’Ato un Comitato aveva proposto ricorso davanti al Tar per l’annullamento della stessa, con la quale era stato stabilito l’incremento una tantum della quota fissa del servizio idrico integrato, per tutte le categorie di utenza.

Il Tar aveva affermato che la Delibera presentava un chiaro contenuto retroattivo. In realtà la stessa era finalizzata a coprire i costi per i servizi sostenuti nei periodi indicati e non più coperti dalla tariffa a causa dei minori ricavi derivanti dalla perdita della quota per la depurazione.

Il Tar aveva pertanto ritenuto illegittima la misura compensativa introdotta, ancorché in via straordinaria, al fine di recuperare i ricavi venuti meno, in quanto si trattava di un’imposizione retroattiva di una tantum, che “non trova conforto in alcuna superiore previsione legislativa” e neppure, sul piano della legittimità, nelle giustificazioni adottate dall’Amministrazione procedente e dal gestore del servizio idrico integrato.

Avverso tale decisione hanno proposto separato appello sia l’Ato che la società che gestisce il servizio idrico integrato.

L’Ato ha proposto appello avverso tale decisione che aveva annullato la delibera nella parte in cui imponeva l’incremento.

Al contempo, il gestore del servizio idrico integrato ha proposto appello lamentando la non sussistenza di un contenuto retroattivo della misura tariffaria, l’erronea illegittimità della delibera basata sull’assenza di corrispettività tra la quota di depurazione e il relativo servizio e l’illegittimità del contributo una tantum rispetto al precedente contributo straordinario, come affermato dal Tar.

Il Consiglio di Stato ha affermato che “è irragionevole l’imposizione all’utente dell’obbligo del pagamento della quota riferita al servizio di depurazione anche in mancanza della controprestazione, non potendosi, in contrario, qualificare come controprestazione il fatto che le somme pagate dagli utenti in mancanza del servizio sarebbero destinate, attraverso un apposito fondo vincolato, all’attuazione del piano d’ambito, comprendente anche la realizzazione dei depuratori, e non potendosi ritenere, stante l’unitarietà della tariffa, che le sue singole componenti abbiano natura non omogenea, e, conseguentemente, che anche solo una di esse, a differenza delle altre, non abbia natura di corrispettivo contrattuale ma di tributo (Corte costituzionale, sentenza n. 335/08).

Il Consiglio di Stato ha inoltre evidenziato la necessaria sussistenza di un nesso di corrispettività tra tutte le voci della tariffa e i servizi resi.

Tale corrispettività deve sussistere in concreto ed ha una sua base contrattuale, preceduta da un atto amministrativo generale deliberativo, e come tale non può essere intaccata retroattivamente dalla delibera tariffaria, come invece si è verificato nel caso di specie.

Gli aumenti stabiliti dall’Ato non possono essere qualificati come conguagli, in quanto gli stessi dovrebbero essere legati da un nesso di corrispettività con la prestazione e pertanto avrebbero dovuto essere già previsti in anticipo, altrimenti risulterebbero aumenti retroattivi e come tali illegittimi.

In conclusione il Consiglio di Stato ha evidenziato che “la regola di irretroattività dell’azione amministrativa è espressione dell’esigenza di garantire la certezza dei rapporti giuridici, oltre che del principio di legalità che, segnatamente in presenza di provvedimenti limitativi della sfera giuridica del privato (tali sono quelli introduttivi di prestazioni imposte), impedisce di incidere unilateralmente e con effetto «ex ante » sulle situazioni soggettive del privato” (Consiglio di Stato, sentenza n. 4301/08).

Conseguentemente, gli importi previsti dalla Delibera dell’Ato sono inapplicabili in quanto non trovano giustificazione nel suddetto principio di corrispettività.

Il Consiglio di Stato ha così respinto gli appelli dichiarando legittima illegittimo l’aumento una tantum della tariffa per sostituire i ricavi venuti meno, in quanto si tratta di un’imposizione retroattiva e che esclude il nesso di corrispettività.

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