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Personale: in caso di condanna con interdizione perpetua dai pubblici uffici il rapporto di lavoro si risolve automaticamente.


Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 6437/2010
di Giulia Rizza

In caso di condanna penale con interdizione dai pubblici uffici, il rapporto di pubblico impiego cessa automaticamente, non essendo necessario il preventivo esperimento del procedimento disciplinare.

Questo l’importante principio sancito dal consiglio di stato nella decisione in commento, con la quale è stato respinto il ricorso di un dipendente del Ministero della Difesa avverso il provvedimento con cui veniva posto in congedo.

Il dipendente pubblico era stato condannato per truffa e falso, con pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici.

A seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, la P.A. aveva provveduto a porre definitivamente il militare in congedo.

Tale provvedimento veniva impugnato dall’interessato e il Tar, in primo grado, aveva rigettato il ricorso.

La pronuncia è stata appellata di fronte al Consiglio di Stato, lamentando la violazione dell’art. 19 della Legge n. 19/90, che prevede l’obbligatorietà del procedimento disciplinare al fine della destituzione del dipendente pubblico condannato penalmente.

A fondamento della propria tesi difensiva, il ricorrente sosteneva che la suddetta disposizione fosse abrogativa dell’art. 85 del D.p.r. n. 3/57, che prevede la cessazione automatica del rapporto in caso di condanna definitiva che importi l’interdizione dai pubblici uffici.

Il Consiglio di Stato ha ribadito che la risoluzione del rapporto di lavoro è un effetto indiretto della pena accessoria comminata e non una sanzione disciplinare inflitta senza procedimento.

Infatti, a seguito di una decisione giudiziale che comporti la definitiva interdizione dai pubblici uffici, non sarebbe coerente riconoscere all’Amministrazione il potere di adottare un’autonoma decisione disciplinare, in merito alla cessazione del rapporto di lavoro che se posta in contrasto con quanto stabilito dalla sentenza di condanna, risulterebbe inutiliter data.

Seguendo  l’interpretazione della Cassazione (Corte di Cassazione, Sent. n. 16153/09), il Consiglio di Stato ha chiarito che l’art. 9 della Legge n. 19/90 trova applicazione nei casi in cui la destituzione sia conseguenza disciplinare della condanna e non in presenza di misure accessorie di carattere interdittivo, rispetto alle quali la cessazione del rapporto costituisce solo un effetto indiretto, data la fisiologica impossibilità di prosecuzione del rapporto.

Ne consegue che, a fronte di sentenza penale di condanna con pena accessoria interdittiva o espulsiva, l’Amministrazione deve necessariamente disporre la cessazione dal servizio.

Tale provvedimento non ha infatti portata disciplinare, ma costituisce un atto vincolato, meramente dichiarativo di uno status conseguente alla condanna penale del dipendente.

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