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Privacy: le riprese effettuate dal datore di lavoro sono utilizzabili per tutelare il patrimonio aziendale


Corte di Cassazione, Sez. V penale, Sent. n. 20722/10
di Alessio Tavanti

Le riprese fatte di nascosto dall’azienda sono utilizzabili nei confronti di un lavoratore sospettato di furto, in quanto finalizzate a tutelare il patrimonio aziendale

Restano, invece, illegittime se finalizzate per controllare la qualità del lavoro.

E’ questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento, con la quale ha respinto il ricorso di un lavoratore avverso la sentenza di condanna per appropriazione indebita aggravata, commessa sul luogo di lavoro.

In particolare, nel caso di specie, il ricorrente, cassiere in un bar, era stato ripreso da una telecamera installata all’interno del locale a sottrarre soldi dal registratore di cassa.

L’interessato aveva contestato in ambito processuale, l’utilizzo di tali videoriprese per essere state effettuate in violazione degli artt. 4 e 38 della Legge n. 300/70 (cd. Statuto dei Lavoratori).

La Cassazione ha chiarito che tali norme, volte a tutelare la riservatezza del lavoratore nello svolgimento della sua attività, prevedono il divieto di installazione di dispositivi che consentano il controllo a distanza del lavoratore, salvo che il loro utilizzo non sia giustificato da esigenze organizzative, produttive o di sicurezza e purché ci sia, in ogni caso, l’accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza di accordo, l’autorizzazione della Direzione Provinciale del Lavoro.

Tuttavia, se da un lato la tutela della riservatezza tende a tutelare  la libertà di comportamento del lavoratore all’interno dell’azienda, ciò deve essere contemperato dall’osservanza, da parte del lavoratore, del proprio dovere di fedeltà.

In questo spazio si inserisce la possibilità per il datore di lavoro di effettuare i cd. controlli difensivi, rappresentati da veri e propri controlli a distanza, tesi a far fronte a reali esigenze di sicurezza, quali la tutela del patrimonio aziendale.

In tal senso, la Cassazione, con riferimento ad un caso analogo a quello in esame, ha affermato che, con riferimento agli artt. 2, 3 e 4 della Legge n. 300/70, “quando sul lavoratore addetto alla registrazione degli incassi si appuntino sospetti di infedeltà, i controlli attivati dal datore di lavoro risultano legittimi, in quanto il comportamento, in tal caso illecito e contrario al dovere di collaborazione, esulando dalla sua specifica attività realizza un attentato al patrimonio dell’azienda”.

Pertanto, i cd. “controlli difensivi” sono da ritenere ammissibili quando sono diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (Cass. sent. n. 4746/02, vedi newsletter SELF n. 3/10)

Relativamente alla questione di inutilizzabilità delle suddette riprese i Giudici, nel caso di specie, hanno ricordato il principio secondo cui “gli articoli 4 e 38 dello Statuto dei lavoratori implicano l’accordo sindacale a fini di riservatezza dei lavoratori nello svolgimento dell’attività lavorativa, ma non implicano il divieto dei cd. controlli difensivi del patrimonio aziendale da azioni delittuose da chiunque provenienti. Pertanto in tal caso non si ravvisa inutilizzabilità ai sensi dell’articolo 191 c.p.p. di prove di reato acquisite mediante riprese filmate, ancorché sia perciò imputato un lavoratore subordinato”.

La Corte di Cassazione ha così respinto il ricorso presentato dal lavoratore in quanto, ove il controllo sia diretto a tutelare il patrimonio aziendale da eventuali condotte illecite, non è ravvisabile una violazione della riservatezza del lavoratore, tutelata dallo Statuto dei lavoratori che vieta i controlli a distanza.

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