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Società partecipate: le novità contenute nella manovra correttiva 2010


Dl n. 78 del 31 Maggio 2010
di Federica Caponi, pubblicato su Diritto e pratica amministrativa  n. 7/8 -2010

È stato pubblicato sulla G.U. n. 125 del 31 maggio 2010 il Dl. n. 78/10 recante “Disposizioni urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, che ha introdotto stringenti vincoli di spesa alle P.A., in generale, e agli Enti Locali in particolare, disponendo anche in materia di società partecipate, di gestione di servizi pubblici e strumentali.

Una norma, in particolare, ha limitato notevolmente la potestà degli Enti di potersi avvalere dello strumento societario, integrando quanto già previsto dall’art. 3, commi 27-32 della Legge n. 244/07.

Il Decreto, entrato in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione in G.U., dovrà essere convertito entro il 30 luglio 2010.

Di seguito sono state commentate le disposizioni contenute nella Manovra che interessano le società partecipate dagli Enti Locali.

Società partecipate dai Comuni sotto 30.000 abitanti e vincoli stringenti per i Comuni con meno di 50.000 abitanti

Art. 14 – Patto di stabilità interno ed altre disposizioni sugli Enti  territoriali

Il comma 32 della norma in commento ha stabilito espressamente che i Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società.

Le eventuali partecipazioni esistenti al 31 maggio 2010 dovranno essere messe in liquidazione entro il 31 dicembre 2010.

Tale vincolo non si applica alle società costituite da più Comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti.

La norma impone, inoltre, ai Comuni che abbiano una popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti la facoltà di detenere una sola partecipazione societaria, stabilendo che le altre società, eventualmente costituite, dovranno essere messe in liquidazione entro il 31 dicembre 2010.

Questo è un inaspettato, quanto “devastante”, nuovo vincolo imposto dal Legislatore in materia di servizi e società partecipate ai Comuni, che se dovesse essere confermato in sede di conversione in Legge del Decreto, determinerà rilevanti riflessi negativi sugli Enti, non solo da un punto degli atti complessi che dovranno essere approvati per la messa in liquidazione delle società, ma anche e soprattutto da un punto di vista del bilancio (effetto negativo esattamente contrario a quello che la manovra, secondo l’intenzione del Legislatore, avrebbe dovuto produrre sulla spesa pubblica).

Conseguenze dirompenti, se gli Enti dovessero davvero chiudere le loro partecipate, si avranno ovviamente anche per il personale.

Gli Enti, infatti, considerato gli stringenti vincoli sulla spesa di personale, difficilmente potranno riassorbire gli ex dipendenti trasferiti alle loro in house e i Comuni si troveranno a dover attuare gli obblighi previsti dalla Manovra correttiva 2010, dovendo fronteggiare anche questi “effetti collaterali”.

Potranno “salvarsi” solo le società costituite tra più Enti, che abbiano complessivamente una popolazione superiore ai 30.000 abitanti, la cui partecipazione al capitale sociale dovrà però essere parametrata al numero degli abitanti o paritaria.

Tale partecipazione appare oggi l’unica soluzione perseguibile dai Comuni per evitare che le società in attivo, che costituiscono ottime esperienze gestionali, debbano essere messe in liquidazione, ma anche l’attuazione di tale percorso non appare semplice, né soprattutto potrà essere attuato velocemente.

Potrebbero infatti aprirsi problemi o comunque difficoltà politiche per la definizione dei nuovi assetti societari, considerato soprattutto che la partecipazione al capitale sociale imposta dal comma 32 (paritaria o proporzionata agli abitanti) potrebbe non rispecchiare “il valore” delle società in gioco.

Appare quanto meno opportuno che il Legislatore valuti attentamente tutti i riflessi che tale norma causerà anche e soprattutto sulla spesa pubblica, se davvero dovesse essere imposta la messa in liquidazione di società (con buoni o ottimi risultati di bilancio), che però potrebbero avere “pendenze debitorie” aperte, che ovviamente dovranno essere assolte per la messa in liquidazione.

Sarebbe infatti auspicabile che il Parlamento considerasse la possibilità di salvare le società in utile, che costituiscono un vantaggio per gli Enti e la collettività dei cittadini, che invece verrebbero inderogabilmente travolte se il testo non venisse modificato.

Non può infatti essere condivisibile l’interpretazione, che è stata fornita da alcuni esponenti anche autorevoli della dottrina, secondo cui tale norma non si applicherebbe alle società costituite dai Comuni che rispettano quanto stabilito dall’art. 3, commi 27-32 della Legge Finanziaria 2008.

Tale tesi sarebbe supportata dal rinvio che la disposizione in commento contiene proprio nel primo capoverso, “fermo quanto previsto dall’art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244”.

Seguendo tale interpretazione, infatti, dovremmo ammettere che il Legislatore autorizzerebbe di fatto la costituzione di società da parte degli Enti Locali al di fuori delle ipotesi previste dalla Finanziaria 2008.

La disposizione del comma 32, secondo questa tesi, consentirebbe ai Comuni con meno di 30.000 abitanti di costituire o mantenere la partecipazione in organismi societari che abbiano per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, o che producano servizi non di interesse generale, fatto salvo che la partecipazione alle stesse sia realizzata da più Enti che complessivamente abbiano più di 30.000 abitanti e che le quote sociali siano distribuite in modo paritario o proporzionato alla classe demografica.

Tale “salvacondotto” il Legislatore lo riconoscerebbe anche a favore dei Comuni con meno di 50.000 abitanti, ma “solo per una partecipazione”, mentre gli Enti più grandi potrebbero esclusivamente acquisire o mantenere partecipazioni che rispettino i vincoli della Finanziaria 2008.

Di fatto, quindi, secondo tale interpretazione, non solo la norma dell’art. 14, comma 32, del Dl. n. 78/10 non ridurrebbe il numero delle partecipazioni da parte degli Enti Locali, ma amplierebbe, al contrario, il potere degli Enti (ma solo quelli al di sotto dei 50.000 abitanti) di costituire società partecipate anche in violazione delle disposizioni della Finanziaria 2008 (anche se solo per una partecipazione).

Appare del tutto evidente che tale tesi non possa che essere considerata palesemente errata.

La norma in commento costituisce certamente la disposizione più dirompente per le in house dei Comuni, ma la Manovra correttiva contiene anche altre norme che si applicano alle partecipate dagli Enti locali.

Compensi dei membri del CdA e dei Sindaci revisori

Art. 5 – Economie negli Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici

Il comma 5 della norma in commento ha previsto che ai titolari di cariche elettive “che siano incaricati dalle P.A. – di cui al comma 3 dell’art. 1 della Legge n. 196/09 (Indice Istat che richiama, tra gli altri, anche gli Enti Locali) – compresi quelli attenenti alla partecipazione ad organi collegiali di qualsiasi tipo, può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute, mentre eventuali gettoni di presenza non potranno superare l’importo di 30 euro a seduta”.

Tale disposizione sembrerebbe applicarsi, ad esempio, ai membri dei Cda delle partecipate, nominati dagli Enti che rivestano cariche elettive (sindaci e consiglieri).

Se così fosse tale disposizione dovrebbe coordinarsi con quanto previsto dal comma 718 della Finanziaria 2007 (norma ancora vigente) che ha stabilito che “l’assunzione, da parte dell’amministratore di un ente locale, della carica di componente degli organi di amministrazione di società di capitali partecipate dallo stesso ente non da titolo alla corresponsione di alcun emolumento a carico della società”.

Art. 6 – Riduzione dei costi degli apparati amministrativi

Il comma 2 della norma in commento ha stabilito che dal 31 maggio 2010 la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la titolarità di organi dei predetti enti è onorifica.

Tale incarico potrà dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente e nel caso in cui siano già previsti i gettoni di presenza, questi non potranno superare l’importo di 30 euro a seduta giornaliera.

La violazione di quanto previsto dal presente comma determina responsabilità erariale e gli atti adottati dagli organi degli enti e degli organismi pubblici interessati sono nulli.

Il Legislatore ha stabilito inoltre che gli enti privati che non si adeguano a quanto disposto dalla norma non potranno ricevere, neanche indirettamente, contributi o utilità a carico delle P.A., salva l’eventuale devoluzione, in base alla vigente normativa, del 5 per mille del gettito dell’Irpef.

La disposizione del presente comma non si applica agli “enti previsti nominativamente” [dizione “inusuale” utilizzata dal Legislatore] dal Dlgs. n. 300/99 e dal Dlgs. n. 165/01 e comunque alle università, alle camere di commercio, agli enti del servizio sanitario nazionale, agli enti indicati nella tabella C della Legge Finanziaria [2010? Non avendo il Legislatore specificato l’anno, saremmo indotti a pensare appunto alla Finanziaria 2010, peccato però che la Tabella C della Legge n. 191/09 non contenga alcun elenco “nominativo” di alcun ente] e agli Enti previdenziali ed assistenziali nazionali.

Dato il richiamato “agli organismi pubblici” tale norma potrebbe applicarsi anche ai membri dei Cda delle partecipate, ma tale tesi non appare corretta in quanto lo stesso art. 6 in commento, al comma 6, contiene una norma ad hoc per tali organismi.

Il comma 5 della disposizione in commento ha stabilito che tutti gli enti pubblici, anche economici, e gli organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato, dovranno provvedere all’adeguamento dei rispettivi statuti al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del Decreto, gli organi di amministrazione e quelli di controllo, ove non già costituiti in forma monocratica, nonché il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero non superiore, rispettivamente, a cinque e a tre componenti.

Anche tale disposizione, che potrebbe sembrare, ad una prima lettura, applicabile anche alle partecipate dagli Enti Locali, in realtà stabilisce dei limiti numerici che per le società di tali enti sono già in vigore dal 2007.

Il comma 729, dell’art. 1, della Legge n. 296/06 (Finanziaria 2007) ha infatti stabilito che il numero complessivo di componenti dei Cda delle società partecipate totalmente, anche in via indiretta, da enti locali, non può essere superiore a tre, ovvero a cinque per le società con capitale, interamente versato, pari o superiore a 2 milioni di euro, importo determinato con Dpcm. 26 giugno 2007 (“Determinazione dell’importo di capitale delle società partecipate dagli Enti Locali ai fini dell’individuazione del numero massimo dei componenti del consiglio di amministrazione”), pubblicato nella G.U. n. 182 del 7 agosto 2007.

Gli statuti della partecipate degli Enti Locali dovrebbero già rispettare tali limiti dal 7 novembre 2007.

Per quanto riguarda le società di capitali miste, la stessa disposizione della Finanziaria 2007 ha previsto che “il numero massimo di componenti del Consiglio di Amministrazione designati dai soci pubblici locali, comprendendo nel numero anche quelli eventualmente designati dalle Regioni, non può essere superiore a cinque”, indipendentemente dal capitale sociale versato.

Una norma che al contrario si applica alle società, possedute in misura totalitaria dagli Enti Locali al 31 maggio 2010, è il comma 6 della norma in commento.

Tale disposizione ha stabilito che a tali organismi interamente partecipati dagli enti, il compenso dei componenti del Cda e del collegio sindacale deve essere ridotto del 10% a decorrere dal prossimo rinnovo del consiglio o del collegio sindacale.

Il Legislatore ha previsto che tale disposizione non si applichi alle società quotate in borsa.

Il comma 11 dell’art. 6 in commento non si applica alle partecipate dagli Enti Locali in quanto richiama espressamente le società inserite nel conto economico consolidato della P.A., come individuate dall’Istat, ai sensi del comma 3 dell’art. 1 della Legge n. 196/09 (pubblicato sulla G.U. n. 176/09).

Il citato elenco dell’Istat non contiene alcun riferimento alle Società in house, costituite dagli Enti Locali per la gestione di servizi pubblici locali o strumentali.

Gli Enti in esso richiamati, infatti, oltre che dalle P.A., sono costituiti per la maggior parte da società partecipate dalle amministrazioni centrali o da qualche Fondazione o altro organismo di cui alcuni Enti Locali possono detenere una quota azionaria, ma in tale elenco non è menzionata alcuna società costituita dai Comuni o dalle Province per la gestione dei propri servizi.

Altra norma dagli effetti particolarmente forti è quella contenuta nel comma 19.

Tale disposizione ha stabilito che gli Enti Locali soci non potranno più effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali, fatto salvo il caso di necessaria riduzione del capitale al di sotto del limite legale (ex art. 2447 del Codice Civile).

Potranno comunque essere effettuati trasferimenti alle società a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti.

Il comma 20 stabilisce che tali disposizioni non si applicano in via diretta alle Regioni, alle Province autonome e agli Enti del servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica.

Gli Enti Locali e, pertanto, le loro partecipate devono invece adeguarsi direttamente a tali norme.

Rinnovi contrattuali

Art. 9 – Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico

Nonostante la rubricazione della norma in commento, il comma 29 impone alle società non quotate, controllate direttamente o indirettamente dalle P.A., inserite nell’indice Istat, tra cui quindi gli Enti Locali, “di adeguare le loro politiche assunzionali” ai nuovi vincoli imposti agli Enti da tale disposizione.

In realtà, l’art. 9 in commento non contiene vincoli in materia di nuove assunzioni, ma impone dei limiti agli aumenti contrattuali, alle retribuzioni dei dipendenti.

Appare quantomeno curioso il fatto che il Legislatore abbia previsto l’estensione di tali limiti, considerato che ai dipendenti delle società non si applicano i contratti del comparto pubblico (per cui è previsto ex lege un blocco per i rinnovi per i prossimi 3 anni).

Non si vede, quindi, come le società possano “rifiutarsi” di applicare ai propri dipendenti eventuali aumenti contrattuali, disposti dalla contrattazione collettiva per il triennio 2010-2012.

Al contrario, ben avrebbe potuto il Legislatore imporre vincoli in materia di nuove assunzioni, cioè, avrebbe avuto ben altro effetto se tale “piccolo” inciso fosse stato inserito nell’ultimo comma dell’art. 14 della Manovra, ma non certo nell’art. 9.

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