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Società partecipate da più P.A.: il controllo analogo deve essere esercitato congiuntamente


Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza n. 5082, del 26 agosto 2009
di Federica Caponi

Nel caso in cui varie Autorità pubbliche siano socie di una Società cui sia stata affidata direttamente la gestione di un servizio pubblico, il controllo che tali P.A. devono esercitare su tale organismo societario è esercitato congiuntamente, a maggioranza.


Ai fini della configurabilità di un “controllo analogo”, non è necessaria la ricorrenza, in capo ad ogni socio pubblico, di un potere di controllo individuale ex art. 2359 Codice Civile, è imprescindibile però che il controllo degli Enti pubblici sulla partecipata sia effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, da parte dei singoli associati.
Questi gli importanti principi sanciti dal Consiglio di Stato, con la Sentenza in commento, con la quale ha respinto l’appello presentato da un Consorzio avverso la Sentenza di primo grado.
Nel caso di specie, alcuni Enti Locali avevano costituito un Consorzio obbligatorio di Bacino, per la gestione associata di alcuni servizi.
L’Assemblea straordinaria dei soci del Consorzio, richiamando l’art. 113, comma 5, lett. c), del Tuel individuava una Spa interamente pubblica quale affidataria diretta dei servizi, motivando tale scelta dal fatto che il capitale sociale della stessa era interamente pubblico e che i Comuni associati del Consorzio esercitavano sulla Società un controllo analogo in modo associato, tramite il Consorzio, e tramite i singoli contratti di servizio.
Un Comune associato al Consorzio aveva sollevato dubbi circa la sussistenza dei presupposti di legittimità per l’affidamento in house da parte del Consorzio alla Spa pubblica, sia perché il Comune non era socio della Spa affidataria, sia perché riteneva mancassero le condizioni previste dall’art. 113 del Tuel.
Il Consorzio comunicava tuttavia al Comune che intendeva comunque affidare alla Spa la gestione del servizio e il Comune ha presentato ricorso avverso tale decisione.
Il Tar in primo grado ha accolto il ricorso dell’Ente e tale Sentenza è stata impugnata dal Consorzio.
I Giudici hanno preliminarmente precisato che il  Consorzio obbligatorio costituisce un mero modulo organizzativo e di coordinamento che non espropria i singoli Comuni delle funzioni proprie riconosciute dalla normativa statale, nonché dalla stessa Carta costituzionale.
Il Consiglio di Stato ha chiarito che in caso di affidamento in favore di società partecipata da più Enti pubblici, il controllo analogo deve essere esercitato dai soci nella loro totalità.
In tal caso, infatti, il controllo degli Enti sulla partecipata è esercitato congiuntamente.
I Giudici amministrativi, conformandosi alla Giurisprudenza comunitaria, hanno chiarito che “qualora un Ente pubblico si associ ad una società i cui soci sono tutte P.A., al fine di trasferirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che queste devono esercitare sulla partecipata per poter essere qualificato come analogo può essere esercitato congiuntamente, deliberando, eventualmente, a maggioranza”.
Il Consiglio di Stato ha poi ricordato che la figura dell’in house providing si configura come un modello eccezionale, i cui requisiti vanno interpretati con rigore poiché costituiscono una deroga alle regole generali del diritto comunitario imperniate sul modello della competizione aperta.
La giurisprudenza amministrativa ha rimarcato che il controllo analogo, idoneo ad escludere la sostanziale terzietà dell’affidatario rispetto al soggetto affidante, è realizzato “in presenza di un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività della partecipata da parte della P.A. socia, che consenta a quest’ultima di dettare le linee strategiche e di influire in modo effettivo ed immediato sulle decisioni dell’affidatario”.
In definitiva, il requisito del “controllo analogo” postula un rapporto che lega gli organi societari con l’Ente pubblico, in modo che quest’ultimo sia in grado, con strumenti pubblicistici o con mezzi societari di derivazione privatistica, di indirizzare tutta l’attività sociale attraverso gli strumenti previsti dall’ordinamento.
Deve quindi trattarsi di una relazione equivalente, ai fini degli effetti pratici, anche se non identica, ad una relazione di subordinazione gerarchica.
A tal proposito, il Consiglio di Stato ritiene necessario che il Consiglio di Amministrazione della partecipata non abbia rilevanti poteri gestionali e che l’Ente pubblico eserciti, pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria.
Risulta quindi indispensabile che le decisioni più importanti siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell’Ente socio o, in caso di in house frazionato, della totalità degli Enti pubblici soci.
Contrasta con gli elementi legittimanti l’in house l’acquisizione, da parte della partecipata, “di una vocazione schiettamente commerciale tale da rendere precario il controllo dell’Ente pubblico”.
Tale condizione, secondo i Giudici amministrativi si realizza in caso di un ampliamento, anche progressivo, dell’oggetto sociale e dall’apertura obbligatoria della società ad altri capitali o dall’espansione territoriale dell’attività della società.
L’affermarsi “di una vocazione strategica basata sul rischio di impresa finisce infatti per condizionare le scelte strategiche della partecipata, distogliendola dalla cura primaria dell’interesse pubblico di riferimento e, quindi, facendo impallidire la natura di costola organica, pur se formalmente autonoma, dell’Ente o degli Enti istituenti”.
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha escluso la sussistenza del requisito del controllo analogo.
Infatti, dallo Statuto deve escludersi il Consorzio e i soci complessivamente intesi, anche con la regola maggioritaria, avessero nei confronti degli organi di amministrazione della Società affidataria un potere di condizionamento strategico ed operativo così incisivo da configurare il requisito del controllo analogo.
L’assemblea dei soci, e quindi i Comuni che la componevano, non avevano il potere di influire direttamente sulla gestione.
Il quadro statutario delinea, in definitiva, un margine di significativa autonomia dell’organo amministrativo nell’ambito di una Società a vocazione commerciale statutariamente legittimata ad operare senza  limiti territoriali  e ad acquisire partecipazioni  in altre compagini  societarie.
Tali condizioni determinano una spiccata vocazione commerciale della partecipata, basata sulla prevalenza della logica d’impresa rispetto a quella pubblicistica, che contraddice la stessa nozione di in house providing come modello di organizzazione istituzionale del  servizio pubblico.
Alla luce delle considerazioni sopra espresse, il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello, confermando la Sentenza del Tar in primo grado.

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