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Comunità Montane: incostituzionali alcune norme di riordino contenute nella Legge Finanziaria 2008


Corte Costituzionale, Sentenza n. 237 del 24 luglio 2009
di Federica Caponi

I criteri di riordino delle Comunità Montane, contenuti nella Finanziaria 2008, sono soltanto indicativi, e non vincolanti, per le Regioni.
Inoltre, nel caso in cui le Regioni non abbiano provveduto ad approvare la Legge di riordino delle Comunità Montane, non può trovare applicazione la norma statale che dispone la riorganizzazione.


Questi gli importanti principi sanciti dalla Corte Costituzionale, con la Sentenza in commento, con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 20, 22 e l’incostituzionalità dell’ultima parte del comma 21, dell’art. 2 della Legge n. 244/07.
La Corte è intervenuta a seguito dei giudizi di legittimità costituzionale promossi dalla Regione Toscana e dalla Regione Veneto.
In particolare, le Regioni avevano contestato le norme contenute nell’art. 2:
– comma 17, in quanto, nello stabilire che le Regioni devono procedere “al riordino della disciplina delle comunità montane, ad integrazione di quanto previsto dall’art. 27” del Tuel, violerebbe la potestà legislativa regionale di carattere residuale, alla quale va ricondotta, secondo la giurisprudenza della stessa Corte, la materia delle Comunità Montane. Non sarebbero ravvisabili nelle suddette disposizioni principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica adottati dallo Stato nell’esercizio della relativa potestà legislativa concorrente;
– comma 18, in quanto lo Stato non potrebbe stabilire principi fondamentali in una materia rimessa alla potestà legislativa residuale delle Regioni. Lo Stato non potrebbe dettare principi relativi al numero delle Comunità Montane necessario per l’adeguato svolgimento delle funzioni regionali o delle funzioni comunali, né al numero dei componenti degli organi rappresentativi necessari al migliore svolgimento delle funzioni degli Enti e alla capacità di rappresentare i Comuni che ne fanno parte;
-comma 19, perché appare irragionevole ed inopportuno, in quanto crea e consente la sopravvivenza di molteplici definizioni di “montagna”, a detrimento della coerenza e della sistematicità dell’ordinamento;
– commi 20, 21 e 22, con i quali si prevede un intervento statale di soppressione delle Comunità Montane, sostenendo che tali norme sarebbero irrazionali ed inopportune. Le Regioni hanno evidenziato, da un lato, che la soppressione ex abrupto, di tali Enti, farebbe venir meno i servizi dagli stessi erogati, senza alcuna disciplina in merito, dall’altro, che si interromperebbe traumaticamente il rapporto di consolidata convivenza ed aggregazione tra Comuni aventi esigenze similari. Tale scelta sarebbe irragionevole in ragione delle esigenze di continuità che permeano l’avvicendamento tra Enti pubblici. Inoltre, le norme contenute nei commi 20 e 21, sarebbero incoerenti con la finalità di contenimento della spesa pubblica.
Per entrambe le Regioni, quindi, il punto centrale del dubbio di costituzionalità era costituito, in sintesi, dalla presunta lesione della loro potestà legislativa e dall’assenza di titoli di legittimazione dello Stato ad adottare la disciplina in esame.
I Giudici costituzionali hanno preliminarmente chiarito che il fatto che la Regione Toscana, in modo non dissimile da quanto fatto da altre Regioni, abbia dato attuazione alle disposizioni impugnate, approvando la Legge regionale n. 37/08 (Riordino delle Comunità montane), in attuazione e in conformità a quanto previsto proprio dall’art. 2, comma 17, della Legge n. 244/08, non determina il venir meno dell’interesse al ricorso da parte della stessa Regione, la quale, nella memoria depositata, ha ribadito che “i criteri che si sono dovuti applicare non possono essere ritenuti vincolanti per il legislatore regionale”.
Così come per la Regione Veneto che, non avendo approvato nei termini una Legge regionale di riordino, ha dovuto prendere atto dell’automatica produzione di effetti sulla composizione e struttura delle proprie Comunità Montane del Dpcm. 19 novembre 2008 (“Riordino della disciplina delle Comunità montane, ai sensi dell’articolo 2, comma 21, della legge 24 dicembre 2007, n. 244”) e nominare i Commissari straordinari per quelle soppresse, con il compito di provvedere alla ricognizione del loro patrimonio e all’adozione degli atti amministrativi necessari a garantire la continuità delle funzioni da esse svolte.
La Corte Costituzionale ha infatti precisato che tale circostanza non incide sull’interesse al ricorso, atteso che la Regione stessa, nella memoria depositata ha ribadito di essere “fermamente convinta dell’illegittimità costituzionale delle disposizioni normative impugnate e della menomazione dei propri poteri” subita ad opera del citato Dpcm.
I Giudici costituzionali hanno ricordato che la Comunità Montana ha natura di Ente autonomo, quale proiezione dei Comuni che ad essa fanno capo.
Tali Enti sono “Unioni di Comuni, Enti Locali costituiti fra Comuni montani” (art. 27, comma 1, Dlgs. n. 267/00) dotati di autonomia, non solo dalle Regioni, ma anche dai Comuni, come dimostra, tra l’altro, l’espressa attribuzione agli stessi della potestà statutaria e regolamentare (art. 4, comma 5, della Legge n. 131/03.
La Corte ha chiarito che la disciplina delle Comunità Montane, pur in presenza della loro qualificazione come Enti Locali, rientra nella competenza legislativa residuale delle Regioni.
I Giudici hanno ricordato che il Legislatore statale può legittimamente imporre alle Regioni vincoli alle politiche di bilancio per ragioni di coordinamento finanziario volte a salvaguardare, proprio attraverso il contenimento della spesa corrente, l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari.
Infatti, è necessario evidenziare che la finanza delle Regioni, delle Province autonome e degli Enti Locali è parte della “finanza pubblica allargata” e tra i vincoli derivanti all’Italia dall’appartenenza all’Unione europea vi è l’obbligo di rispettare un determinato equilibrio complessivo del bilancio nazionale.
Le disposizioni di principio, relative al contenimento della spesa pubblica e al rispetto del Patto di stabilità interno, legittimamente adottate, sono idonee, inoltre, a realizzare l’ulteriore finalità del buon andamento delle P.A..
Pertanto, il Legislatore statale può stabilire solo un limite complessivo che lasci agli Enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
Qualora la legge statale, invece, vincolasse Regioni e Province autonome all’adozione di misure analitiche e di dettaglio, essa verrebbe a comprimere illegittimamente la loro autonomia finanziaria, esorbitando dal compito di formulare i soli principi fondamentali della materia.
Alla luce di quanto sopra evidenziato, la Corte Costituzionale ha dichiarato che le questioni di incostituzionalità relative ai commi 17, 18 e 19 non sono fondate.
Il Legislatore statale ha fissato un obiettivo di natura finanziaria per le Regioni, basato sulla riduzione della spesa “storica” erogata nell’anno 2007, indicando alle Regioni stesse, per raggiungere tale obiettivo, il percorso del riordino della disciplina normativa relativa alle Comunità Montane.
Inoltre, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito più volte che le Comunità Montane, “contribuiscono a comporre il sistema delle autonomie sub-regionali, pur senza assurgere a Enti costituzionalmente o statutariamente necessari”.
Una disposizione statale di principio in tema di coordinamento della finanza pubblica, può legittimamente incidere sulla materia dell’organizzazione e del funzionamento della Regione. Inoltre, le norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli Enti Locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica se si limitano a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente, e se non prevedono, in modo esaustivo, strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi.
Secondo la Corte, la disciplina che stabilisce il riordino delle Comunità Montane, in quanto costituisce il mezzo per pervenire a “ridurre a regime la spesa corrente” per il funzionamento delle medesime, costituisce norma di principio di coordinamento della finanza pubblica, in quanto tende a far sì, che lo stesso trovi piena attuazione.
Le norme contenute nei commi 17-19, quindi, costituiscono effettivamente espressione di principi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica, proprio per la chiara finalità che, mediante il riordino delle Comunità Montane, si propongono di raggiungere e per la loro proporzionalità rispetto al fine che intendono perseguire.
La Corte Costituzionale ha però precisato che, in merito a quanto previsto dal Legislatore statale nel comma 18, in funzione dell’obiettivo di riduzione della spesa corrente per il funzionamento delle Comunità Montane, non incide in modo particolare sull’autonomia delle Regioni nell’attuazione del previsto riordino.
Tale norma, “si limita a fornire al Legislatore regionale alcuni indicatori che si presentano non vincolanti, né dettagliati, né autoapplicativi e che tendono soltanto a dare un orientamento di massima alle modalità con le quali deve essere attuato tale riordino”.
Secondo i Giudici costituzionali, infatti, l’espressione “tengono conto”, con la quale si apre il comma 18, va intesa nel senso della “non vincolatività per le Regioni delle suddette indicazioni”, le quali, pertanto, non hanno l’obbligo di conformare la loro azione all’osservanza dei principi indicati in tale norma.
Per quanto riguarda il comma 20, dell’art. 2, la Corte ha dichiarato la questione di costituzionalità fondata.
Tale norma stabilisce che, in caso di mancata attuazione delle norme di riordino delle Comunità Montane da parte delle Regioni entro il termine ivi previsto, si producano determinati effetti espressamente previsti.
Il comma in questione disciplina, in modo esaustivo, gli effetti che conseguono nella ipotesi in cui le Regioni non provvedano, nei termini prescritti, al riordino.
Tali effetti si concretizzano nella cessazione dell’appartenenza alle Comunità Montane di determinati Comuni, nonché nella soppressione automatica delle Comunità che vengono a trovarsi nelle condizioni indicate dal medesimo comma 20.
Secondo la Corte, però, tale disposizione contiene una disciplina di dettaglio, autoapplicativa che non può essere ricondotta all’alveo dei principi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica, in quanto non lascia alle Regioni alcuno spazio di autonoma scelta e dispone, in via principale, direttamente la conseguenza, anche molto incisiva, della soppressione delle Comunità che si trovino nelle specifiche e puntuali condizioni ivi previste.
Pertanto, il comma 20 viola il dettato costituzionale.
I Giudici hanno dichiarato parzialmente fondata anche la questione di costituzionalità relativa al comma 21.
Tale norma prevede che l’effettivo conseguimento delle riduzioni di spesa sia accertato sulla base delle leggi regionali promulgate e delle relative relazioni tecnico-finanziarie, con Dpcm. e che gli effetti previsti dal comma 20 si producano dalla data di pubblicazione del Decreto.
La norma impugnata, nella parte in cui prevede un meccanismo di accertamento delle effettive riduzioni di spesa, basato su un provvedimento amministrativo adottato dal Governo, non viola alcuna diposizione costituzionale.
Per quanto riguarda, al contrario, la previsione dell’eventuale caducazione di quanto disposto dalle Leggi regionali, qualora ritenute inadeguate, è lesiva dell’art. 117 Cost., non potendo essere rimessa ad un atto amministrativo la cessazione dell’efficacia della Legge regionale ritenuta inidonea a raggiungere la prevista riduzione della spesa corrente.
Ciò integrerebbe, secondo la Corte Costituzionale, un controllo di merito sulla Legge regionale, non previsto da alcuna norma costituzionale ed incompatibile con il sistema delineato dall’art. 127 Cost.
Nè lo Stato, né le Regioni possono pretendere, al di fuori delle procedure previste da disposizioni costituzionali, di risolvere direttamente gli eventuali conflitti tra i rispettivi atti legislativi per il tramite di proprie disposizioni di legge.
Alla luce delle considerazioni sopra evidenziate, secondo la Corte Costituzionale, “è palese l’illegittimità dell’ultima parte del comma 21, che attribuisce ad un atto amministrativo dello Stato (il previsto Dpcm.), a decorrere dalla data di sua pubblicazione, efficacia abrogativa delle disposizioni regionali adottate, ove riconosciute insufficienti a garantire le riduzioni di spesa”.
Infine, secondo i Giudici, merita accoglimento anche la questione di costituzionalità promossa in ordine al comma 22, il quale dispone che “le Regioni provvedono a disciplinare gli effetti conseguenti all’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 17, 18 e 20 ed in particolare alla soppressione delle Comunità Montane, anche con riguardo alla ripartizione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Anche tale norma contiene una disciplina, autoapplicativa e di dettaglio, che non riveste carattere di principio fondamentale della materia relativa al coordinamento della finanza pubblica.
Alle Regioni, infatti, deve essere riconosciuto il potere di disciplinare direttamente e, appunto, in autonomia gli aspetti relativi alla fase successiva alla soppressione delle Comunità Montane, in particolare per quanto concerne la successione dei Comuni alla Comunità Montana soppressa nei rapporti giuridici riferiti a quest’ultima, con specifico riguardo, tra l’altro, ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato dei dipendenti.
La Corte Costituzionale ha così dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 20, 22 e dell’ultima parte del comma 21, dell’art. 2, della Legge n. 244/07.
Appare opportuno ricordare che le Sentenze della Corte che dichiarano l’incostituzionalità delle disposizioni legislative, producono effetto dalla loro pubblicazione in G.U. e da quella data le norme interessate devono essere disapplicate.

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