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Mansioni superiori: la retribuzione è legittima solo se siano state affidate espressamente ex ante e per coprire un posto vacante in dotazione


Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza n. 100/09
di Federica Caponi

Mansioni superiori – Affidamento delle stesse con un mero ordine di servizio prima del 1998- Diritto alla corresponsione della differenza del trattamento retributivo – Non sussiste


Ai fini della pretesa della retribuzione delle mansioni superiori esercitate da un dipendente di una P.A., è necessario dimostrare che vi sia la disponibilità del posto in organico, per vacanza od assenza non occasionale del titolare, e l’esistenza di un puntuale incarico formale conferito, nel periodo antecedente, dall’organo competente ed espressamente riferito alle mansioni affidate.

Cosicché, se le mansioni superiori siano state svolte sulla base di un mero ordine di servizio, non sussiste il presupposto del provvedimento idoneo a dar titolo al trattamento retributivo corrispondente.
E’ questo l’importante principio ribadito dal Consiglio di Stato nella Sentenza in commento, con la quale è stato respinto il ricorso presentato da un dipendente di una Asl, al fine di ottenere la declaratoria del suo diritto all’attribuzione del trattamento economico corrispondente alle funzioni superiori svolte dal 1989 al 1996, maggiorate della rivalutazione monetaria e degli interessi sulle somme rivalutate.
La decisione del Consiglio di Stato ha confermato un’interpretazione consolidata nella magistratura amministrativa che sostiene l’irrilevanza, sotto il profilo economico, dello svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego prima del 22 novembre 1998, data di entrata in vigore del Dlgs. n. 387/98, posizione contrastata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
I Giudici amministrativi sostengono che il rapporto di pubblico impiego, benché privatizzato, non sia assimilabile, per quanto riguarda tale fattispecie, al rapporto di lavoro privato, in virtù di quanto previsto dall’art. 98 della Costituzione, secondo cui i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, per cui la valutazione del rapporto di pubblico impiego non può essere ridotta alla pura logica del rapporto di scambio, e dall’art. 97 sempre della Carta Costituzionale, in base al quale l’esercizio di mansioni superiori, rispetto alla qualifica rivestita, contrasta con i principi di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari pubblici.
Il diritto del dipendente pubblico, che abbia svolto le funzioni immediatamente superiori, al trattamento economico corrispondente può dunque, secondo i Giudici amministrativi, essere riconosciuto, con carattere di generalità, solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del Dlgs. n. 387/98.
Il fatto
Nel caso di specie, al ricorrente, dipendente di una Azienda Sanitaria con la qualifica di collaboratore amministrativo, a seguito del collocamento a riposo del Direttore Amministrativo, capo servizio, furono affidate le relative funzioni.
Allo stesso dipendente fu anche attribuita la piena autonomia gestionale e lo stesso svolse le mansioni di Responsabile di Area, relative al posto lasciato vacante dal superiore con il collocamento in pensione.
Queste funzioni, in sostituzione del superiore, furono espletate dal ricorrente dal 1° maggio 1989 al 2 maggio 1995, data in cui fu adottata una diversa organizzazione delle strutture amministrative dell’Azienda Sanitaria Locale.
Il dipendente aveva adito il Tar per ottenere la declaratoria del suo diritto alla attribuzione del trattamento economico corrispondente alle funzioni di Vice Direttore Amministrativo e aveva richiesto la condanna dell’Ente al pagamento delle differenze retributive, maggiorate della rivalutazione monetaria e degli interessi sulle somme rivalutate, decorrenti dai singoli ratei.
Il Tribunale amministrativo, in prima istanza, ha respinto il ricorso, ritenendo infondata la pretesa del ricorrente in mancanza di un preventivo atto formale di conferimento delle mansioni superiori e in assenza di prova che le mansioni esercitate fossero su un posto privo di titolare nella pianta organica.
Gli atti attestanti lo svolgimento delle mansioni superiori da parte del ricorrente erano tutti successivi al loro svolgimento ed avevano tutti carattere ricognitivo delle funzioni svolte.
La Sentenza di primo grado ha precisato che le mansioni, relative al posto del Direttore Amministrativo, dopo il suo collocamento a riposo, non erano state attribuite al ricorrente con atto formale e, avverso tale pronuncia, il dipendente ha proposto appello.
La questione di fondo
La problematica affrontata dal Consiglio di Stato attiene alla disamina delle condizioni legittimanti la retribuzione dello svolgimento delle mansioni superiori da parte di un dipendente pubblico, che giustificano cioè l’affidamento allo stesso di funzioni diverse rispetto a quelle che gli competono in base all’inquadramento nella dotazione organica dell’Ente datore.
In tale materia la Giurisprudenza amministrativa si pone in una posizione diversa rispetto a quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione.
I Giudici amministrativi hanno precisato che il Legislatore, dopo avere introdotto all’art. 57 del Dlgs. n. 29/93 una disciplina generale del conferimento di mansioni superiori, valida per tutte le P.A., quale fenomeno eccezionale e temporaneo (limitato a tre mesi e rinnovabile per eguale periodo, ma con riferimento ad altro dipendente), ne ha subito rinviato l’applicazione, subordinandola all’emanazione, in ogni Amministrazione, dei provvedimenti di ridefinizione delle strutture organizzative.
Tale proroga è stata rinnovata sino all’abrogazione della norma, ai sensi dell’art. 43 del Dlgs. n. 80/98.
La disciplina delle mansioni superiori non è stata ritenuta espressione di un principio generale di più ampia portata e tanto meno applicabile, in aperto conflitto con la contraria volontà espressa dal Legislatore con i ripetuti rinvii, a decorrere dalla sua emanazione o, perfino, da data anteriore (Cons. Stato, Ad. Plen., 28 gennaio 2000, n. 10).
La materia è stata poi disciplinata dall’art. 56 del Dlgs. n. 29/93 (sostituito dall’art. 25 del Dlgs. n. 80/98) che ha regolamentato, in maniera innovativa, l’istituto dell’attribuzione temporanea di funzioni superiori nell’ambito del pubblico impiego.
E’ stata così affermata, per la prima volta in un testo normativo di portata generale per il pubblico impiego, che al lavoratore spetta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore anche nel caso di assegnazione nulla per violazione delle condizioni ivi previste.
Attualmente la disciplina è contenuta nell’art. 52 del Dlgs. n. 165/01, che stabilisce che per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni afferenti alla qualifica immediatamente superiore:
a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti;
b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza.
E’ considerato svolgimento di mansioni superiori soltanto l’ attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.
Al di fuori di tali ipotesi, l’ assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore è nulla, ma al lavoratore deve essere corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore.
Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponderà personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.
La Giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che il diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore vada riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del Dlgs. n. 387/98, in quanto il riconoscimento legislativo di tale diritto ha carattere innovativo e non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse.
Tale disposizione ha modificato, infatti, l’allora vigente art. 56 del Dlgs. n. 29/93, che stabiliva che in nessun caso fino a tale data lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza poteva comportare il diritto “a differenze retributive o” ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore, sopprimendo le parole “a differenze retributive o”, e riconoscendo al lavoratore, cui venga affidato lo svolgimento di mansioni superiori, il diritto alla retribuzione connessa a tali funzioni.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha più volte ribadito che tale modifica non può aver efficacia retroattiva, negando così ogni riconoscimento economico al dipendente che abbia svolto mansioni superiori prima dell’entrata in vigore di tale norma (Sent. n. 3/06, n. 12/00 e n. 11/00, n. 10/00, n. 22/99).
Al contrario, la Corte di Cassazione ritiene che la novella di cui all’art. 15 del Dlgs. n. 387/98 abbia realizzato una sorta di intervento correttivo per adeguare il sistema ai principi costituzionali e attenuare le più stridenti differenze con il regime del lavoro privato e, pertanto, la ratio adeguatrice ai principi costituzionali di tale norma, giustificherebbe il carattere retroattivo della stessa.
Anche di recente infatti la Corte di Cassazione, Sez. Lav., ha stabilito che “in materia di pubblico impiego contrattualizzato, l’impiegato cui siano state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 della Costituzione” (Corte Cass., Sez. Lav., Sentenza n. 23741/08).
Secondo i Giudici di legittimità, tale principio deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere, anche nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza.
Al contrario, secondo il Consiglio di Stato, la retribuibilità delle mansioni superiori nel pubblico impiego trova riconoscimento nella sussistenza di tre presupposti, tutti necessari:
a) una disposizione legislativa che espressamente disciplini tale fattispecie;
b) l’esistenza in organico di un posto vacante corrispondente alle mansioni superiori che vengono affidate al dipendente;
c) un atto di incarico ad opera dell’organo competente ex ante rispetto allo svolgimento delle mansioni;
Il Collegio, inoltre, ha precisato che tale regola, basata su detti presupposti è, comunque, derogatoria a quella di portata più generale, che riconosce alla qualifica, e non alle mansioni, il parametro al quale è riferita obbligatoriamente la retribuzione.
In caso contrario, sarebbero disattesi i principi di buon andamento e di certezza dell’assetto organizzativo e finanziario delle P.A.
Ai fini della pretesa retribuzione delle mansioni superiori esercitate dal dipendente, è necessaria l’allegazione di un principio di prova circa i presupposti condizionanti tale retribuibilità, ovvero la disponibilità del posto in organico, per vacanza od assenza non occasionale del titolare, e l’esistenza di un puntuale incarico formale conferito, nel periodo antecedente allo svolgimento delle mansioni, dall’organo competente ed espressamente riferito alle funzioni superiori.
Cosicché, se le mansioni superiori siano state svolte sulla base di un mero ordine di servizio, non sussiste il presupposto del provvedimento idoneo a dar titolo al trattamento retributivo corrispondente.
Conclusioni
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che, nel caso di specie, dalla documentazione non si evincesse che i compiti relativi alla titolarità del posto lasciato vacante dal superiore collocato a riposo e svolti dal dipendente ricorrente siano stati attribuiti da un organo dotato dei necessari poteri.


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