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Contratti pubblici: le Regioni devono adeguare la propria legislazione a quella nazionale


Corte Costituzionale, Sentenza n. 411/08
di Federica Caponi

Per quanto riguarda le disposizioni in materia di lavori pubblici, contenute nel Dlgs. n. 163/06 (Codice dei Contratti pubblici) le Regioni, anche a statuto speciale, non hanno potestà legislativa esclusiva, ma devono adeguare la propria legislazione a quanto previsto dal Legislatore statale.
Sono, pertanto, costituzionalmente illegittime le norme regionali che stabiliscono una disciplina difforme da quella nazionale, alla quale avrebbero dovuto adeguarsi alla stregua dell’art. 4, comma 5, del Dlgs. n. 163/06, in quanto norme che attengono alla tutela della concorrenza e all’ordinamento civile e, quindi, estranee alla competenza legislativa regionale e riservate allo Stato.

E’ questa l’importante principio ribadito dalla Corte Costituzionale, nella Sentenza in commento, con la quale ha dichiarato in contrasto con il dettato costituzionale numerose norme contenute nella Legge della Regione Sardegna n. 5/07 (vedi Contrattinews n. 7/08).
Il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva infatti promosso questione di legittimità costituzionale, in via principale, di diversi articoli della citata Legge regionale.
In particolare, tra le altre, era stato impugnato l’art. 5, comma 1, della stessa, nella parte in cui stabiliva che le Amministrazioni ed i soggetti pubblici erano tenuti a redigere ed approvare un programma triennale per i soli lavori di importo superiore ai 200.000 euro, in contrasto con l’art. 128 del Dlgs. n. 163/06.
In tal modo, peraltro, si era resa la programmazione non più obbligatoria per moltissimi lavori pubblici, imposta al contrario dalla legislazione statale, incidendo su un principio, quello della “necessaria stretta relazione tra programmazione, progettazione, finanziamento e realizzazione, che costituisce uno dei cardini della buona amministrazione perseguiti dalla riforma sui lavori pubblici”.

La Corte Costituzionale ha dichiarato le questioni, sollevate nei confronti di tutte le disposizioni regionali impugnate, fondate nel merito.
I Giudici hanno anche ricordato che la disciplina degli appalti pubblici, intesa in senso complessivo, include diversi “ambiti di legislazione” che “si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono”.
In tale materia è vero che si profila un’interferenza fra materie di competenza statale e di competenza regionale, ma tale “conflitto” si risolve con la “prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa” (Corte Cost. Sent. n. 401/07), regolamentazione statale contenuta nel Dlgs. n. 163/06.
La disciplina delle procedure di gara e, in particolare, la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione, ivi compresi quelli che devono presiedere all’attività di progettazione, mirano a garantire che le stesse si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei principi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento (come già chiarito dalla stessa Consulta nelle Sentenze n. 431 e n. 401 del 2007).

Tali materie, in quanto volte a consentire la piena apertura del mercato nel settore degli appalti, sono riconducibili all’ambito della tutela della concorrenza, di esclusiva competenza del legislatore statale (come tra l’altro aveva già avuto modo di precisare la Corte Costituzionale anche in merito alle disposizioni contenute nel Tuel relative ai servizi pubblici locali, nel Sentenze n. 272/04, con la quale ha dichiarato incostituzionale l’art. 113-bis del Tuel, in quanto non attenendo alla materia della tutela della concorrenza e del mercato spettava esclusivamente al Legislatore regionale dettare le regole per la gestione dei servizi pubblici privi di rilevanza economica).
Anche la fase negoziale dei contratti della P.A., che ricomprende l’intera disciplina di esecuzione del rapporto contrattuale, incluso l’istituto del collaudo, connotandosi per la normale mancanza di poteri autoritativi in capo al soggetto pubblico, sostituiti dall’esercizio di autonomie negoziali, afferendo alla materia dell’ordinamento civile, è di competenza esclusiva del Legislatore statale, che l’ha esercitata, anche in tal caso, adottando le disposizioni del citato Dlgs. n. 163/06.
Infatti l’art. 4, comma 5, del Codice dei Contratti pubblici, stabilendo che “le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione”, impone alle stesse di conformare la propria legislazione in materia di appalti pubblici a quanto stabilito dal Codice stesso.

Lo statuto della Regione Sardegna, infatti, all’art. 3, lett. e), attribuisce alla medesima una competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici di interesse regionale, alla quale, quindi, non appartengono le norme relative alle procedure di gara ed all’esecuzione del rapporto contrattuale.
La Regione Sardegna, con le norme impugnate, ha invece legiferato in ambiti già espressamente ricondotti, per un verso, alla materia della “tutela della concorrenza” per altro verso, alla materia “dell’ordinamento civile”, dettando una disciplina difforme rispetto a quella stabilita dal Legislatore statale, senza adempiere all’obbligo di adeguamento.
In definitiva, tutte le norme regionali impugnate sono state dichiarate costituzionalmente illegittime in quanto stabiliscono una disciplina difforme da quella nazionale, in considerazione del fatto che, essendo materie afferenti alla tutela della concorrenza e all’ordinamento civile, sono estranee alla competenza legislativa regionale e riservate esclusivamente allo Stato.

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