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Scuola: gli insegnanti non possono rivolgersi ai propri alunni con epiteti offensivi


Corte di Cassazione, sez. V penale, sentenza. n. 38297/11
di Calogero Di Liberto

La maestra che in classe si rivolge ad un suo alunno con un epiteto offensivo lede il decoro del minore e, pertanto, deve risarcirlo del danno.

Questo il principio sancito dalla Cassazione con la sentenza in commento, con la quale ha rigettato il ricorso presentato da una maestra, confermandone la condanna al risarcimento danni.

Nel caso di specie, una maestra si era rivolta ad un alunno in classe con l’appellativo di “scioccarellino”, suscitando la reazione dei genitori.

A seguito della condanna al risarcimento danni operata dal giudice di pace, confermata dal Tribunale, la maestra aveva presentato ricorso in Cassazione, lamentando l’incapacità della parola “scioccarellino” di ledere l’onore di una persona.

La Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo che la verifica richiesta dalla ricorrente esorbitasse dalla sfera di competenza ad essa spettante.

In particolare, secondo la Cassazione il controllo di legittimità su una decisione di merito deve limitarsi a verificare la presenza di una giustificazione logica e compatibile con il senso comune.

L’illogicità della motivazione deve essere valutata, sotto il profilo della legittimità, limitatamente ai “rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze”.

Inoltre, “non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa” (Cass., sez. II penale, sent. n. 24847/09).

Nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha affermato che, alla luce delle osservazioni presentate dalla ricorrente, non è possibile giungere a conclusioni differenti da quelle affermate dal giudice di merito.

Inoltre, la Corte ha evidenziato che una determinata espressione non può essere valutata in astratto e la sua capacità di ledere l’onore o di recare offesa deve essere contestualizzata e “apprezzata in concreto, in relazione alle modalità del fatto ed a tute le circostanze che lo caratterizzano”.

Il Collegio ha rilevato come, nel caso di specie, seppure l’epiteto usato possa apparire “astrattamente di debole portata offensiva”, nel contesto dei fatti si è rilevato idoneo a manifestare un disprezzo lesivo del decoro della persona, in quanto diretto verso un minore e in presenza di suoi coetanei.

La Corte ha, pertanto, rigettato il ricorso, confermando il principio secondo il quale la maestra che in classe si rivolge ad un suo alunno con un epiteto offensivo ne lede il decoro e deve risarcire taled danno.

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