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Ferie non godute dirigente, sì alla monetizzazione in caso di “disorganizzazione” dell’ente


La perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi “soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato” (C. 21780/2022).

Questo il principio ribadito dalla Corte di cassazione civile, Sezione VI, con l’ordinanza n. 29113 del 6 ottobre 2022, con la quale è stato accolto il ricorso proposto avverso sentenza della Corte d’Appello, da un dirigente pubblico al quale, alla cessazione del rapporto di lavoro, non era stata riconosciuta l’indennità sostitutiva per ferie maturate e non godute.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello, confermando la pronuncia del Tribunale di merito, aveva rigettato la domanda di un dirigente di un ASL di corresponsione dell’indennità sostitutiva per 38 giorni di ferie maturati negli ultimi 15 mesi del rapporto, ma non fruiti, nonostante le istanze presentate fossero state respinte con la motivazione “per necessità di servizio”. Tribunale e Corte d’appello avevano ritenuto che il dirigente non avesse provato che il mancato godimento delle ferie fosse dovuto ad esigenze di servizio, né quali fossero state le specifiche motivazioni che avevano determinato l’accumulo delle giornate.

La Cassazione ha evidenziato l’erroneità delle argomentazioni giuridiche della Corte territoriale, la quale ha valorizzato soltanto i comportamenti asseritamente inerti del lavoratore, senza esaminare i comportamenti datoriali ed ha applicato erroneamente la regola sull’onere della prova.

In accordo con il consolidato orientamento della Suprema Corte, anche in esito agli indirizzi della Corte di Giustizia UE, i giudici di legittimità hanno dapprima ricordato l’orientamento interpretativo della Corte Costituzionale, manifestato in merito alla questione di legittimità rispetto alla previsione dell’art. 5, c. 8, d.l. 95/2012, secondo cui, nell’ambito del lavoro pubblico, le ferie, i riposi e i permessi “sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti” e non si possano corrispondere “in nessun caso” trattamenti economici sostitutivi.

Come segnalato dall’ordinanza in commento, la Corte Costituzionale (n. 95/2016), infatti, ritenendo la citata norma non costituzionalmente illegittima, ha evidenziato che la perdita del diritto alla monetizzazione non può aversi qualora il mancato godimento delle ferie sia incolpevole, non solo perché dovuto ad eventi imprevedibili non dovuti alla volontà del lavoratore, ma anche quando ad essere chiamata in causa sia la “capacità organizzativa del datore di lavoro”, nel senso che quest’ultima va esercitata in modo da assicurare che le ferie siano effettivamente godute nel corso del rapporto, quale diritto garantito dalla art. 36 Cost., nonché dalle fonti internazionali ed europee, con la conseguenza che non potrebbe vanificarsi “senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso” da “causa non imputabile al lavoratore”, quale è l’inadempimento del datore di lavoro ai propri obblighi organizzativi in materia.

La Cassazione ha richiamato alcune proprie recenti pronunce, ribadendo che:

– “il diritto alle ferie annuali retribuite dei dirigenti pubblici, in quanto finalizzato all’effettivo godimento di un periodo di riposo e di svago dall’attività lavorativa (…), è irrinunciabile; ne consegue che il dirigente il quale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non ne abbia fruito, ha diritto a un’indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un’adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo” (C. 13613/2020);

– “il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all’indennità sostitutiva delle ferie se il datore di lavoro non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l’organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento” (C. 18140/2022).

A parere dei giudici di legittimità, neppure possono ritenersi ostative alla monetizzazione delle ferie quelle disposizioni secondo cui il periodo di riposo minimo di 4 settimane va goduto per almeno 2 settimane consecutive nel corso dell’anno di maturazione, e per le restanti 2 settimane nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione: la norma va, infatti, intesa come regola di disciplina delle modalità ordinarie di fruizione minima delle ferie maturate in un certo anno, senza interferenze con il diritto alla monetizzazione delle ferie non godute alla fine del rapporto, qualora il datore di lavoro non adempia correttamente agli oneri probatori a suo carico.

La Suprema Corte ha, quindi, accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d’Appello affinché decida la controversia facendo applicazione dei principi esposti nell’ordinanza.

 

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Leggi la sentenza

Ordinanza-Cassazione-29113-2022

 

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