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Puglia, del. 80/2022 – Scavalco d’eccedenza incaricato P.O.


Il sindaco di un comune ha chiesto un parere in merito al cd. scavalco d’eccedenza, ex art. 1, comma 557, della legge 311/2004. In particolare, è stato richiesto se sia corretto per il dipendente interessato che abbia presso l’ente datore di lavoro l’incarico di P.O.:

  • ricevere una “duplice forma di retribuzione” per le ore lavorate presso l’ente datore e utilizzatore;
  • essere autorizzato allo svolgimento di tale incarico senza determinare un danno erariale, tenuto conto che gli avrebbe già corrisposto il compenso per le ore oggetto di autorizzazione.

I magistrati contabili della Puglia, con la deliberazione 80/2022, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 4 maggio 2022, hanno evidenziato che la richiesta di parere riguarda la fattispecie del cd. “scavalco d’eccedenza” di cui all’art. 1, comma 557, della legge 311/2004 ed è stata oggetto di numerosi chiarimenti da parte della magistratura contabile che ne ha sottolineato la differenza con la fattispecie del cd. “scavalco condiviso”, disciplinata dall’art. 14 del CCNL 2004 del personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali.

Nella deliberazione in commento, la Corte dei conti ha ricordato che nello scavalco c.d. condiviso il titolare del rapporto lavorativo resta il solo ente di provenienza, mentre nello scavalco c.d. d’eccedenza il lavoratore, pur restando legato al rapporto d’impiego (a tempo pieno) con l’ente originario, svolge ulteriori prestazioni lavorative in favore di uno degli enti indicati dalla norma, in forza dell’autorizzazione data dall’amministrazione di provenienza (cfr. Sezione Controllo Regione Molise 105/2016/PAR).

La volontà del legislatore di introdurre una deroga al principio dell’esclusività del rapporto di lavoro a tempo pieno, mediante l’utilizzo di personale dipendente di altre amministrazioni locali, scaturisce dalla necessità di venire incontro agli enti di ridotte dimensioni, i quali incontrano notevoli difficoltà nello svolgimento delle proprie funzioni e nell’assunzione di personale.

Il Consiglio di Stato con il parere n. 3764/2013, recepito in toto dal Ministero dell’Interno con la circolare n. 2 del 26 maggio 2014, mette in evidenza proprio questo aspetto di “deroga al principio dell’unicità del rapporto di lavoro espresso dall’art. 53, comma TI, del d.lgs. n. 165/2001”.

Il Ministero dell’Interno, nella Circolare del 21/10/2005, n. 2 (Problematiche interpretative in materia di personale dipendente dagli enti locali: art. 1, comma 557, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 -legge finanziaria 2005), ha affermato che a tale fattispecie può essere applicata, “in quanto compatibile” alla disciplina dettata in materia di rapporto di lavoro a tempo parziale, contenuta nell’art. 4, comma 7 e seguenti, del CCNL per il comparto regioni e autonomie locali del 14 settembre 2000 (Rapporto di lavoro a tempo parziale), oggi trasfusa nell’art. 53, comma 7, del CCNL del 21 maggio 2018.

Per il Consiglio di Stato si intende consentire ai dipendenti degli Enti locali di svolgere, previa autorizzazione, attività lavorativa a favore di altri Enti locali, di piccole dimensioni ovvero associati tra loro, non solo ai titolari di un rapporto di lavoro a tempo parziale ma anche ai titolari di un rapporto di lavoro a tempo pieno (parere n. 2141/2005).

In questo assetto, la seconda attività lavorativa del dipendente di altro Ente può avvenire sulla base sia di un nuovo contratto di lavoro subordinato (a tempo parziale) sia di un contratto di lavoro autonomo. In entrambi i casi, la permanenza del rapporto di lavoro a tempo pieno con l’Amministrazione di appartenenza fa sì che quest’ultima “possa subordinare l’autorizzazione a vincoli ed oneri che assicurino il permanere della compatibilità della prestazione lavorativa con il rapporto a tempo pieno in essere”. È chiaro, dunque, che in queste ipotesi, l’atto autorizzatorio avrà ad oggetto essenzialmente la definizione dei tempi e dei modi attraverso i quali l’attività lavorativa svolta presso l’Ente utilizzatore non arrechi pregiudizio al corretto svolgimento dei compiti istituzionali dell’Ente di appartenenza.

Ne discende che, una volta definiti i limiti esterni ed interni cui l’Ente utilizzatore dovrà informare lo svolgimento della prestazione lavorativa, l’Amministrazione di appartenenza continuerà a gestire il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in assoluta autonomia e senza alcuna modificazione o novazione, oggettiva o soggettiva, dello stesso.

L’art. 1, comma 557, della legge 311/2004 configurerebbe una situazione non dissimile, nei suoi tratti essenziali e in particolare sul piano dei rapporti fra le patti interessate (le due Amministrazioni e il lavoratore), da quella che si verifica nel caso di svolgimento di una seconda attività lavorativa da parte di un dipendente pubblico a tempo parziale.

L’indubbia lacunosità della disposizione può essere colmata con l’applicazione della particolare disciplina prevista per tale fattispecie, come chiarito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri-Nota 23 maggio 2008, n. 34/08/UPPA.

I magistrati contabili della sezione controllo Puglia, hanno quindi ricordato che nella fattispecie ex art. 1, comma 557, legge 311/2004, non c’è un unico rapporto di lavoro ripartito tra due enti, né si può pensare a un unico rapporto di lavoro nell’ente di provenienza, che si espanderebbe fino ad altre 12 ore nell’ente di destinazione. Non si può, d’altronde, trascurare il fatto che il legislatore non abbia utilizzato nessuna qualificazione per definire tale tipologia di impiego (distacco, assegnazione temporanea, comando, etc.). Infatti, nessuna di queste si attaglia ad un “unicum” che trova giustificazione nella esigenza di permettere, agli enti di piccole dimensioni, di assicurare i servizi e svolgere i propri compiti istituzionali, in un particolare momento storico in cui l’assunzione di personale è sottoposta a vincoli stringenti.

L’Aran ha ritenuto che, nel caso di utilizzo di un dipendente a tempo parziale tra due enti in base all’art.14 del CCNL del 22/01/2004, “la possibilità di ricorrere ad un autonomo contratto di lavoro a tempo determinato, al di là dell’orario di obbligo già ripartito in sede di convenzione, pone dubbi di legittimità a causa dei vincoli di incompatibilità di più rapporti di lavoro in capo al medesimo soggetto contemporaneamente, ai sensi dell’art.53 del D.Lgs. n.165/2001, facendo salva la sola particolare ipotesi di cui all’art. TI, comma 557, della legge n.311/2004 “ (RAL 1554 Orientamenti applicativi).

Come rilevato anche dalla Corte dei conti, sez. contr. Basilicata nel parere 1/2019, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è pacifica nel ritenere che “In tema di pubblico impiego contrattualizzato, poiché il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato, il datore di lavoro pubblico non ha il potere di attribuire inquadramenti in violazione del contratto collettivo, ma solo la possibilità di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo, alle sue esigenze organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie”, pertanto, “ne consegue che è affetto da nullità per violazione di norma imperativa, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, l’atto di inquadramento in deroga, anche “in melius”, alle disposizioni del contratto collettivo” (Cass. civ. Sez. lav. Ord. 23757/2018).

Alla luce delle considerazioni sopra evidenziate, nella deliberazione in commento, i magistrati contabili hanno chiarito che per l’utilizzo di un dipendente di un altro ente (ex art. 1, comma 557, legge 311/2004) “qualora il rapporto fosse di tipo “subordinato” non potrebbe essere convenuta una retribuzione forfettaria in deroga ai criteri ed ai parametri, anche orari, stabiliti dal contratto collettivo di riferimento in relazione al tipo di rapporto di lavoro instaurato. Invece, nel caso di rapporto di lavoro di tipo autonomo, il ricorso a tale tipologia di contratto è condizionato alla sussistenza (e persistenza per tutta la durata del rapporto) di specifici presupposti e requisiti codificati dalla normativa vigente, tra cui -a mero titolo esemplificativo e non esaustivo- le disposizioni di cui ai commi 5bis e 6 dell’art. 7 del Dlgs 165/2001, così come successivamente modificato e integrato.” Laddove, ai sensi del comma 5 bis, “E’ fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. I contratti posti in essere in violazione del presente comma sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente comma sono, altresì, responsabili ai sensi dell’articolo 21 e ad essi non può essere erogata la retribuzione di risultato”.

Pertanto, per determinare la retribuzione da corrispondere al dipendente utilizzato ai sensi del comma 557 dell’art. 1 della legge 311/2004, dovrà aversi riguardo al tipo di rapporto instaurato (subordinato o autonomo) tra l’Ente utilizzatore ed il dipendente; la scelta del tipo di rapporto e la sua gestione nel tempo andranno effettuate alla luce delle prescrizioni contenute nella normativa vigente e delle condizioni contenute nell’atto di autorizzazione dell’Ente di appartenenza. Nel caso di rapporto di tipo subordinato, il trattamento economico non potrà che essere stabilito in conformità alla normativa vigente e, in particolare, ai criteri ed ai parametri fissati dal CCNL di comparto, volta per volta, vigente in materia. Per l’effetto non potrà essere convenuta una retribuzione a forfait che – per come in concreto conformata- si ponga in deroga – seppure migliorativa- ai suddetti criteri e parametri. Nel caso in cui, fosse “in astratto ed in concreto” possibile (nel senso di legittimo) perfezionare un rapporto di lavoro di tipo autonomo, perché al di fuori del perimetro dei divieti fissati dal legislatore, il compenso convenuto, oltre ad essere oggetto di previa autorizzazione da parte dell’Ente di appartenenza, dovrà comunque essere conforme alle prescrizioni ed ai vincoli finanziari fissati dalla normativa vigente”.

Al fine dell’utilizzo del comma 557 dell’art. 1 della legge 311/2004, l’Ente dovrà verificare che tale strumento risulti, tra l’altro:

  1. compatibile con il soddisfacimento in concreto delle esigenze di funzionamento dell’Ente, avendo riguardo all’esiguità del numero di ore “consentite” per l’espletamento dell’incarico ed a tutti gli ulteriori limiti derivanti dalla natura a tempo pieno del rapporto principale, e ciò anche alla luce del livello di gravosità delle funzioni assegnate e della necessità di garantirne l’espletamento in via continuativa o meno;
  2. compatibile con i vincoli finanziari prescritti dalla normativa.

In merito al personale titolare di P.O., il trattamento economico accessorio è composto dalla retribuzione di posizione e dalla retribuzione di risultato. Tale trattamento assorbe tutte le competenze accessorie e le indennità previste dal contratto, compreso il compenso per il lavoro straordinario. Il titolare di P.O., laddove sia necessario per esigenze di servizio, può svolgere lavoro straordinario, come tutti gli altri dipendenti ma, a differenza di questi, non ha diritto alla retribuzione ulteriore, salvo poche eccezioni. Si ricorda che il lavoro straordinario è comunque soggetto a stringenti limitazioni ed è subordinato alla preventiva e formale autorizzazione allo svolgimento; l’autorizzazione successiva, cd. in sanatoria, è consentita solo in presenza di esigenze di servizio indifferibili ed improcrastinabili.

Il personale incaricato di P.O., diversamente dai dirigenti, è tenuto ad effettuare prestazioni lavorative settimanali non inferiori a 36 ore, mentre non sono retribuite le eventuali prestazioni ulteriori che gli interessati potrebbero aver effettuato, e che neppure danno titolo o diritto ad eventuali recuperi compensativi, in relazione all’incarico affidato e agli obiettivi da conseguire.

E’ da ritenersi illegittima l’erogazione di una duplice e differente forma di retribuzione allo stesso dipendente per le medesime ore lavorate presso enti diversi.

Il dipendente con rapporto di lavoro ex art. 1, comma 557 legge 311/2004 deve essere retribuito sulla base dei parametri oggettivi di riferimento, a seconda della tipologia di lavoro (subordinato/autonomo) e per il numero di ore autorizzate, con conseguente assegnazione della retribuzione di posizione delle PO ricompresa nel range tra i 5.000 e i 16.000 euro.

 

Leggi la deliberazione

CC 80-2022 Puglia

 

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