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Tassa di soggiorno versata in ritardo al Comune: è peculato


Commette il reato di peculato l’albergatore che non versa, entro i termini stabiliti da regolamento comunale, l’importo della tassa di soggiorno riscosso dalla propria struttura.

Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32058 del 12 luglio 2018.

Nel caso di specie l’albergatore aveva incassato l’imposta di soggiorno dovuta dai soggiornanti, senza corrisponderla al comune di appartenenza nei termini previsti dal regolamento.

L’albergatore aveva proposto ricorso per cassazione, sostenendo, tra le altre motivazioni, che la qualificazione giuridica del medesimo non poteva ricondursi alla figura dell’incaricato di pubblico servizio e che il versamento nei confronti dell’ente era stato comunque effettuato, seppur in ritardo ed a seguito di contestazioni e diffide.

I giudici di legittimità hanno ribadito che i titolari delle strutture ricettive incaricati, sulla base dei regolamenti comunali, della riscossione e poi del riversamento nelle casse comunali dell’imposta di soggiorno corrisposta da coloro che alloggiano in dette strutture, assumono la qualifica di agenti contabili (in tal senso si veda Tar Veneto, sentenza n. 1141/2016; Corte dei conti, sez. giur. Toscana, sentenza n. 280/2017; Corte dei Conti, Sezioni Riunite, sentenza n. 22/2016)

Di conseguenza l’albergatore, autorizzato alla riscossione dell’imposta di soggiorno dell’ente locale, che ne è titolare in virtù del potere impositivo a lui riconosciuto dalla legge, realizza l’appropriazione sanzionata dal delitto di peculato nel momento in cui ometta o ritardi il versamento delle somme di denaro ricevute dai soggiornanti.


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