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Società partecipata da farmacisti ex dipendenti: non applicabile la disciplina sulle alienazioni


La disposizione di cui all’articolo 1, comma 568-bis, lettera b), della legge n. 147/2013, che prevede l’alienazione con procedura a evidenza pubblica delle partecipazioni societarie detenute dalle amministrazioni locali con contestuale assegnazione del servizio da esse svolto per cinque anni, non è applicabile nel caso di società comunale partecipata da farmacisti ex dipendenti.

Questo il principio espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 116 depositata il 31 maggio 2018.

Nel caso di specie il Comune, in applicazione dell’articolo 9 della legge n. 475 del 1968, aveva approvato la costituzione di una società partecipata per la gestione del servizio farmaceutico, stabilendo la cessione del 49% del capitale sociale ad una farmacista già impiegata presso la farmacia comunale la quale, oltre a rinunciare al rapporto di lavoro, aveva conferito circa euro 700.000 per acquisire la partecipazione sociale (nella specie, la società era stata costituita nel 2005, con la previsione statutaria di una durata centenaria sino al 31 dicembre 2104).

Successivamente, in ragione dello squilibrio economico finanziario registrato nei bilanci societari per gli anni dal 2009 al 2013, il Comune aveva disposto il passaggio dalla gestione diretta della farmacia comunale (a mezzo di società di capitali costituita tra il Comune e i farmacisti dipendenti) alla gestione indiretta (mediante concessione a terzi), in applicazione e secondo le modalità previste dall’art. 1, comma 568-bis, lettera b), della legge n. 147 del 2013.

Nello specifico l’ente aveva disposto la cessione della partecipazione comunale, pari al 51%, mediante procedura ad evidenza pubblica a doppio oggetto, con il contestuale affidamento in concessione della farmacia comunale per la durata di cinque anni, tacitamente rinnovabili per altri cinque.

La ex farmacista, divenuta socia, aveva impugnava la deliberazione consiliare per violazione dei principi costituzionali di tutela del lavoro, del risparmio, degli investimenti e della libera iniziativa economica, con richiamo al gravissimo danno patrimoniale subito dalla stessa che, avendo costituito la società mediante il conferimento di un’ingente somma di denaro (pari a circa € 700.000) nella prospettiva di poter gestire il servizio a tempo indeterminato, e comunque per la durata della società fissata fino al 2104.

Il Tar Lazio, con sentenza non definitiva del 28 febbraio 2017, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 568-bis, della legge n. 147/2013, dubitando in particolare della “possibilità per l’Amministrazione di recedere dal rapporto di affidamento della gestione della farmacia comunale previamente attuato attraverso la costituzione di una società con un socio privato, pregiudicando la posizione di quest’ultimo attraverso la previsione di una concessione per la durata di soli cinque anni, prorogabili per una volta, riconoscendo al privato unicamente la possibilità di esercitare il diritto di prelazione al prezzo del migliore offerente nella procedura ad evidenza pubblica a doppio oggetto, con conseguente necessità di un ulteriore esborso economico a fronte di una ridotta durata della concessione”.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 116 del 2018 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, evidenziando che la previsione dell’articolo 1, comma 568-bis, lettera b), della legge n. 147/2013 non si applica alla fattispecie della società comunale partecipata ex art. 9, primo comma, lettera d), della legge n. 475 del 1968.

Quest’ultimo tipo di società costituisce un modello specialissimo di società a partecipazione mista per la gestione di servizi pubblici locali (rispetto agli ordinari tipi previsti dalla normativa vigente) e un modello altrettanto eccezionale di gestione da parte del comune del servizio farmaceutico.

La specialità sta innanzitutto nel fatto che, sebbene non si tratti di società interamente pubblica, e sebbene in essa i soci privati non vengano scelti con gara secondo procedure di evidenza pubblica, la società partecipata ai sensi dell’art. 9, primo comma, lettera d), citato, è diretta affidataria del servizio: ogni scelta circa l’opportunità di coinvolgere altri soggetti nella compagine societaria e circa i caratteri soggettivi dei privati da coinvolgere è già operata a priori dalla legge, in maniera vincolante per l’amministrazione.

In secondo luogo, la stessa posizione del socio farmacista presenta caratteri di specialità rispetto all’ordinaria partecipazione del socio privato a una società comunale di gestione del servizio, giacché con essa il legislatore valorizza una peculiare categoria di dipendenti dell’ente locale, i farmacisti, che vengono con ciò resi compartecipi dell’impresa pubblica.

In tale contesto, nel quale la società mista rappresenta, in sostanza, la nuova veste gestionale di un servizio pubblico che il comune già svolgeva sotto altra forma, l’affidamento non ha limiti temporali di durata e al socio privato è consentito di disporre delle sue quote perfino in sede testamentaria.

In definitiva, è evidente che solo un’interpretazione della disposizione sospettata di illegittimità costituzionale che escluda dal suo ambito di applicazione le società partecipate dai farmacisti ex dipendenti è idonea a sventare il rischio di un suo contrasto con i principi costituzionali.


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