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Concorsi: i segni grafici di identificazione che violano la regola dell’anonimato


Nelle procedure concorsuali la regola dell’anonimato degli elaborati scritti, anche se essenziale, non può essere intesa in modo assoluto e tassativo tale da comportare l’invalidità delle prove ogni volta che sia solo ipotizzabile il riconoscimento dell’autore del compito.

La regola dell’anonimato deve essere intesa nel senso che non deve essere presente nell’elaborato alcun segno che sia “in astratto” ed “oggettivamente” suscettibile di riconoscibilità.

Questo il principio ribadito dal Tar Lazio, Roma, con la sentenza n. 3413 del 13 marzo 2017.

Come evidenziato dai giudici amministrativi, si configura l’elemento del cd. “segno di riconoscimento” nell’elaborato scritto quando la particolarità riscontrata assume un carattere oggettivamente ed incontestabilmente anomalo rispetto alle ordinarie modalità di estrinsecazione del pensiero e di elaborazione dello stesso in forma scritta (così Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2013, n. 102; Tar Toscana, sentenza n. 230 del 13 febbraio 2017).

In particolare, lasciare spazi vuoti nella c.d. bella copia di ciascuna prova, ovvero scrivere il titolo della traccia in carattere maiuscolo e sottolineato, devono ritenersi modalità del tutto consuete e assai frequenti che non presentano quei caratteri di anomalia sufficienti a comprovare “in modo inequivoco” l’intenzione degli autori di rendere conoscibili i propri elaborati alla commissione o a un suo componente.


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