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Tariffa rifiuti (TARI): illegittima se esorbitante, arbitraria e incongrua


La determinazione delle tariffe per la raccolta dei rifiuti costituisce espressione di un potere ampiamente discrezionale del comune.

Tuttavia, considerato che la TARI costituisce una tassa e, quindi, deve essere coerentemente commisurata all’entità del servizio reso, la determinazione delle relative tariffe deve essere strettamente correlata ad una previa dettagliata valutazione delle singole situazioni, ossia deve ragionevolmente fondarsi su un’accurata istruttoria circa la produttività quantitativa e qualitativa dei rifiuti delle categorie e/o sottocategorie appositamente individuate, utile e imprescindibile ai fini della congrua fissazione dei “coefficienti” ad ognuna di esse applicabile.

Questo il principio espresso dal Tar Lazio, Roma, con la sentenza n. 11052 dell’8 novembre 2016, con la quale è stata ritenuta illegittima, esorbitante ed arbitraria la scelta di un’amministrazione di assimilare i rimessaggi alle “aree aperte di attività produttive” e agli “arenili attrezzati”, con conseguente assoggettamento di tali aree alla medesima tariffa.

Come rilevato dai giudici amministrativi, sebbene la determinazione delle tariffe della TARSU costituisca espressione di un potere ampiamente discrezionale del comune, l’ente pubblico deve, in termini generali, procedere sulla base della ricerca di un’equa proporzione tra l’effettiva capacità di produzione dei rifiuti della singola utenza ed il costo ad essa addebitato.

La TARI, infatti, costituisce una tassa e, quindi, deve essere coerentemente commisurata non al reddito del soggetto passivo, bensì all’entità del servizio reso.

Più specificamente, si tratta di un tributo la cui previsione o, meglio, fissazione risulta governata dal principio comunitario secondo cui “chi inquina paga” (art. 1, comma 652, della legge n. 147/2013) e, pertanto, la determinazione delle relative tariffe deve essere strettamente correlata ad una previa dettagliata valutazione delle singole situazioni, ossia deve ragionevolmente fondarsi su un’accurata istruttoria circa la produttività quantitativa e qualitativa dei rifiuti delle categorie e/o sottocategorie appositamente individuate, utile e imprescindibile ai fini della congrua fissazione dei “coefficienti” ad ognuna di esse applicabile.

Nello specifico, i giudici amministrativi hanno ritenuto illogica e immotivata la scelta dell’ente, in considerazione del fatto che i rimessaggi costituiscono, per definizione, meri depositi di “barche, roulotte o altri veicoli nel periodo in cui non sono utilizzati” e, quindi, gli stessi, in ragione della peculiarità che li caratterizzano, si prestano a produrre un quantitativo di rifiuti certamente non ingente e, comunque, inferiore a quello delle “aree aperte di attività produttive” e degli “arenili attrezzati”.


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