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Rispondono di danno gli ex amministratori della partecipata che hanno impugnato gli atti dell’ente socio


Il Consiglio di amministrazione (ormai decaduto) che oppone una strenua difesa in sede stragiudiziale e giudiziale alla scelta del comune di nominare un Amministratore Unico risponde delle spese illegittimamente sostenute dall’Azienda.

Questo il principio espresso dalla Corte dei conti, sez. giur. Toscana, con la sentenza n. 94 depositata il 1° aprile 2016, con la quale ha condanno i membri del consiglio di amministrazione di un’azienda speciale, affidataria del servizio di igiene urbana, che nonostante fossero decaduti dalla carica (quindi privi di legittimazione ad agire per conto dell’azienda), avevano richiesto un parere legale pro veritate e disposto la presentazione di un ricorso al Tar avverso l’atto di modifica dello statuto e il decreto di nomina dell’amministratore unico.

Nel caso di specie, il comune al fine di ridurre la spesa aveva modificato lo statuto dell’azienda speciale, introducendo, tra l’altro, la possibilità di nominare un amministratore unico, nominato con successivo decreto sindacale.

A seguito di tale atto, l’ex CdA aveva chiesto un parere legale pro veritate ad uno studio legale in merito alla legittimità della delibera del consiglio comunale di modifica dello statuto e con una successiva deliberazione aveva affidato un incarico (al medesimo studio che aveva reso il parere) per proporre ricorso al Tar, per l’annullamento della deliberazione consiliare, dello statuto e decreto sindacale, ricorso respinto dal giudice amministrativo.

Per tali questioni, la Procura contabile ha contestato la sussistenza di un danno erariale pari € 16.082,00 (di cui € 10.688,00 per il parere reso e € 5.394,00 per il ricorso presentato al Tar), spese che non solo non avevano costituito alcuna utilità, ma anzi avevano costituito un danno, derivante dall’adozione delle deliberazioni da parte di soggetti non aventi la legittimazione ad agire per conto dell’azienda, in quanto componenti di un organo (il Consiglio di Amministrazione) che era ormai decaduto.

I giudici contabili hanno preliminarmente chiarito che al momento della commissione dei fatti, che hanno determinato il danno all’azienda, i membri del Cda erano soggetti privi di potere, in quanto la prorogatio era ormai scaduta.

Non ha alcuna legittimità la prassi amministrativa, anche se consolidata, secondo cui era consentito all’organo amministrativo collegiale di operare pacificamente anche dopo la scadenza del termine massimo per la sua ricostituzione, al fine di garantire la continuità della gestione. Inoltre, la giurisprudenza contabile ha avuto modo di affermare che un parere pro veritate non può ex se assegnare una “patente” di legittimità all’atto amministrativo, con consequenziale esonero di responsabilità per gli amministratori (Corte conti, sez. giur. Sicilia, sent. 109/2000).

Secondo la Corte dei conti, sussisteva il rapporto di servizio, il nesso di causalità tra la condotta e il danno determinato all’erario della stessa azienda e, in merito alla condotta, è stata connotata almeno da colpa grave.

La normativa sulla prorogatio degli organi amministrativi, l’espressa previsione dello statuto per la composizione monocratica dell’organo esecutivo e l’assenza di titolarità del potere amministrativo dei membri dell’ormai ex CdA, sono tutti elementi che secondo i giudici amministrativi consentono “di affermare senza alcun dubbio la previsione o la prevedibilità dell’evento dannoso e la sua prevenibilità”.

Pertanto, l’atteggiamento dei soggetti coinvolti “in relazione agli obblighi di servizio ed alle regole di condotta relativi allo svolgimento dei compiti affidatigli appare davvero censurabile”.

L’ente pubblico socio ha agito per ridurre le spese, mentre gli ex membri del CdA hanno agito in maniera pervicace e censurabile, opponendo una strenua difesa del proprio status in sede stragiudiziale e giudiziale del tutto priva di fondamento.

I giudici contabili hanno infine ribadito che l’esercizio del diritto di difesa non costituisce diritto costituzionalmente garantito a carico delle casse dell’erario.

Pertanto, la Corte ha condannato al pagamento di oltre € 16.000 i membri del consiglio di amministrazione per aver richiesto, quando ormai erano decaduti, il parere legale e per aver presentato ricorso al Tar.

Leggi la sentenza
CC Sez. Giurisd. Toscana sent. n. 94 -2016


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