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Giur. Umbria, sent. n. 11 – C’è danno all’immagine della PA anche per reato “complesso”


Il convenuto – già agente della polizia municipale in servizio all’epoca dello svolgimento dei fatti – era stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per il reato di concorso in favoreggiamento e sfruttamento aggravato della prostituzione di una minore.

La procura attrice ne ha chiesto la condanna per il danno all’immagine cagionato all’amministrazione di appartenenza nella somma di Euro 30.000 ovvero in altra equitativamente determinata.

Va ricordato che, con la sentenza n. 8/2015 delle Sezioni riunite in sede giurisdizionale, è stato enunciato il principio secondo cui l’art. 17, comma 30 ter, del Dl 1 luglio 2009, n. 78, convertito in legge 102/2009, deve intendersi nel senso che le Procure della magistratura contabile possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine soltanto per i delitti di cui al Capo I del Titolo II del Libro secondo del codice penale. Ciò significa che tale genere di danno può essere oggetto di un’azione di risarcimento per impulso della Procura contabile non già in rapporto a reati “comuni” bensì con esclusivo riguardo ai reati propri (ossia peculato, corruzione, concussione, abuso di ufficio e altri), ove la peculiare qualifica dell’autore assume un rilievo costitutivo per la fattispecie criminosa. Nel caso di specie, al convenuto veniva contestato un reato complesso configurato dalla circostanza che taluni dei suoi elementi costitutivi o le sue circostanze aggravanti, costituirebbero, già di per sé stessi, reato e, nel caso specifico, uno dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Nel caso di specie il convenuto, durante la commissione del reato, rivestiva la qualità di agente di Polizia municipale e al momento dei fatti era in servizio quale pubblico ufficiale con la qualifica di agente di polizia giudiziaria.

La condotta tenuta da costui risultava aggravata da tale circostanza, che gli avrebbe imposto a mente dell’art. 40 c.p., di attivarsi per interrompere l’azione delittuosa in corso. In altre parole, avendo il convenuto omesso di attivarsi per porre termine all’azione delittuosa riscontrata, tale condotta, già di per sé penalmente rilevante, è stata assorbita nel più grave reato contestato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione minorile. E tale violazione sarebbe stata penalmente sanzionabile ai sensi dell’articolo 323 c.p., come tale rientrante nel novero dei reati identificati dalle citate Sezioni Riunite quali presupposto per il ristoro del danno all’immagine, se non avesse costituito altro più grave reato, nel quale essa è stata infatti assorbita. Tale ricostruzione ha, quindi, condotto alla condanna dell’agente di polizia municipale per il danno all’immagine patito dall’amministrazione comunale in relazione alla vicenda in esame.

Leggi la sentenza
CC Sez. Giurisd. Umbria sent. n. 11-2016

 


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