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Giur. Sicilia, sent. n. 778 – Responsabilità erariale per assunzioni vietate dall’ente socio


Rispondono di danno gli amministratori della società in house che procedono ad assunzioni di personale nonostante l’esplicito divieto stabilito dall’ente socio con specifico atto di indirizzo.

Questo il principio espresso dalla Corte dei Conti, sez. giur. Sicilia, nella sentenza n. 778 depositata il 1° settembre 2015.

Nel caso di specie l’ente socio, in attesa dell’elaborazione del piano di riordino delle partecipazioni societarie, aveva adottato un atto di indirizzo per le società partecipate con il quale aveva disposto, tra l’altro, il divieto assoluto di assumere personale a qualsiasi titolo, per esigenze di contenimento della spesa pubblica.

Contravvenendo a tale direttiva, il cda di una società aveva deliberato di procedere all’assunzione di alcune risorse umane, nelle loro rispettive qualità di prossimi congiunti di dipendenti deceduti, subordinando le predette assunzioni all’esito positivo del Comitato di controllo analogo, ovvero dell’organo attraverso il quale l’ente, secondo le disposizione statutarie, esercitava sulla partecipata “un controllo sulla gestione, analogo a quello esercitato sui propri servizi”.

Il Comitato di controllo aveva negato tale possibilità, evidenziando la necessità di rimettere la decisione alla valutazione dell’Assemblea dei soci, al fine di ottenere una deroga al divieto in questione, stante la prospettata urgenza e indifferibilità delle assunzioni.

Nonostante la mancata autorizzazione, le assunzioni erano state perfezionate.

Le società in house, in virtù del rapporto di delegazione interorganica con il socio pubblico, ne rappresentano di fatto un’articolazione organizzativa.

Gli organi di tali società, in quanto preposti ad una struttura corrispondente ad un’articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, sono, quindi, privi di reale autonomia gestionale ed in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica rispetto all’ente pubblico titolare della partecipazione sociale.

Gli amministratori di quest’ultima sono, perciò, tenuti ad adeguarsi alle direttive loro impartite dall’ente pubblico, soprattutto quando, come nel caso di specie, il divieto di assunzione era stato previsto all’evidente fine di raggiungere determinati obiettivi di finanza pubblica, a loro volta derivanti dalla legge e dalla Costituzione.

Per quanto concerne il danno, i giudici contabili hanno condiviso l’assunto accusatorio secondo cui, “essendo le assunzioni esplicitamente vietate per esigenze di contenimento della spesa pubblica, è la spesa vietata che risulta di per sé dannosa”.

Ciò in quanto, secondo i principi fissati dalla giurisprudenza, quando una norma, anche regolamentare, vieta determinate spese, ritenendole implicitamente non utili, è sufficiente, affinché si realizzi il danno erariale, la circostanza che le medesime spese siano state eseguite in violazione di tali divieti.

In tal caso non è possibile tener conto dei vantaggi conseguiti dall’amministrazione riguardo all’attività vietata (Corte dei conti, sez. giur. Sicilia, sent. n. 244/2015, n. 389/2014, n. 430/2014, n. 2681/2013; sez. giur. Piemonte, sent. n. 6/2013).

Tali principio è applicabile anche nel caso in cui il divieto, formulato per esigenze di contenimento della spesa pubblica, sia imposto con atti amministrativi.

I giudici contabili hanno quindi condannato gli amministratori della società a rifondere il danno arrecato alla stessa, consistente nella spesa sostenuta per remunerare i lavoratori assunti in violazione dell’espresso divieto assoluto imposto dall’ente socio.

Si segnala il ns. seminario di studi “Organismi partecipati: l’attuazione del piano di razionalizzazione” in programma a Firenze il 9 ottobre p.v.

Leggi la sentenza
Giur. Sicilia, sent. n. 778_2015

 


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