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Giur. Lombardia, sent. n. 54 – Responsabilità erariale per incarichi non autorizzati


Il dipendente pubblico che svolge incarichi esterni retribuiti senza aver ricevuto la prescritta autorizzazione da parte dell’amministrazione è tenuto a versare il relativo compenso nel conto dell’entrata dell’amministrazione di appartenenza, costituendo l’omissione ipotesi di responsabilità erariale.

Questo il principio ribadito dalla Corte dei Conti, sez. giur. Lombardia, nella sentenza 54/2015.

Il generale potere autorizzatorio in capo all’amministrazione di appartenenza è coerente con il carattere di esclusività che connota il rapporto di lavoro a favore delle pubbliche amministrazioni.

Tale autorizzazione è prescritta dall’articolo 53, comma 7 del d.lgs. 165/2001 al fine di verificare in concreto:

a) se l’espletamento dell’incarico, già prima della legge 190/2012 possa ingenerare, anche in via solo ipotetica o potenziale, situazione di conflittualità con gli interessi facenti capo all’amministrazione e, quindi, con le funzioni (ad essi strumentali) assegnate sia al singolo dipendente che alla struttura di appartenenza (problema particolarmente delicato nel comparto Sanità);

b) la compatibilità del nuovo impegno con i carichi di lavoro del dipendente e della struttura di appartenenza (che dovrà comunque non solo essere svolto fuori dall’orario di lavoro, ma pure compatibilmente con le esigenze di servizio), nonché con le mansioni e posizioni di responsabilità attribuite al dipendente, interpellando eventualmente a tal fine il responsabile dell’ufficio di appartenenza, che dovrà esprimere il proprio parere o assenso circa la concessione dell’autorizzazione richiesta;

c) la occasionalità o saltuarietà, ovvero non prevalenza della prestazione sull’impegno derivante dall’orario di lavoro ovvero l’impegno complessivo previsto dallo specifico rapporto di lavoro, con riferimento ad un periodo determinato;

d) la materiale compatibilità dello specifico incarico con il rapporto di impiego, tenuto conto del fatto che taluni incarichi retribuiti sono caratterizzati da una particolare intensità di impegno;

e) specificità attinenti alla posizione del dipendente stesso (incarichi già autorizzati in precedenza, assenza di procedimenti disciplinari recenti o note di demerito in relazione all’insufficiente rendimento, livello culturale e professionale del dipendente);

f) corrispondenza fra il livello di professionalità posseduto dal dipendente e la natura dell’incarico esterno a lui affidato.

L’inosservanza dell’obbligo di previa autorizzazione comporta per tutti i dipendenti, compresi quelli in part-time, sia sanzioni disciplinari che la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165, che prescrive il versamento dei compensi indebitamente percepiti all’amministrazione di appartenenza.

Il comma 7-bis, introdotto dalla legge 190/2012, conferisce inoltre effettività a tale norma sancendo la sussistenza della giurisdizione contabile in ordine alla fattispecie caratterizzata dall’omissione del versamento da parte del dipendente “indebito percettore”.

La pronuncia si sofferma anche su alcuni aspetti del recupero degli emolumenti percepiti nello svolgimento di incarichi non preventivamente autorizzati.

Al riguardo, la Corte ha sottolineato che l’interpretazione della norma non possa che essere nel senso di intendere la somma da recuperare al netto delle imposte già corrisposte, in quanto la richiesta di restituzione dei compensi illegittimamente percepiti dal pubblico dipendente non può che avere ad oggetto le somme da quest’ultimo percepite in eccesso, ossia quanto e solo quanto effettivamente sia entrato nella sfera patrimoniale del dipendente.

Di rilievo le indicazioni sulla maturazione della prescrizione.

Trattandosi di responsabilità amministrativa/contabile, essa è quinquennale, come previsto dall’articolo 1, comma 2, della legge 20/1994 (“il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in 5 anni decorrenti dalla data in cui è stata realizzata la condotta produttiva del danno“).

Il termine iniziale della prescrizione non matura in questo caso dal momento in cui il dipendente ha introitato il compenso, ma dal momento in cui ciò è stato scoperto.

Pertanto, nel caso in cui non vi sia stato un “doloso occultamento” da parte del dipendente (e quindi condotte maliziose tese a velare i proventi percepiti), risulta applicabile la regola della decorrenza della prescrizione da quando il fatto dannoso diviene conoscibile secondo ordinari criteri di diligenza (c.d. conoscibilità obiettiva).

In altre parole, la percepibilità, intesa come conoscibilità obiettiva e non certo soggettiva del danno erariale arrecato all’amministrazione, va individuata nella data della scoperta, ovvero, nel caso specifico “dall’ispezione svolta dalla Guardia di Finanza”.

Sull’argomento, si veda anche Corte dei Conti, sez. appello, sentenza 121/2015.

Leggi la sentenza
CC sez. giur. Lombardia, sent. n. 54-2015


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