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Giur. Sez. Appello, sent. n. 121 – Responsabilità erariale se l’incarico extralavorativo non è autorizzato


Il dipendente pubblico che percepisce compensi per attività lavorativa non autorizzata a favore di terzi risponde per danno erariale causato per non aver riversato all’amministrazione di appartenenza le relative somme.

Questo il principio affermato dalla Corte dei Conti, sez. appello, nella sentenza 121/2015.

Il rapporto di lavoro con il datore pubblico è caratterizzato, a differenza di quello privato, dal c.d. regime di esclusività, in base al quale al dipendente pubblico è preclusa la possibilità di svolgere attività extralavorative a favore di soggetti terzi, pubblici o privati.

Tuttavia, il divieto di espletare incarichi extraistituzionali non è assoluto.

La disciplina normativa di riferimento, contenuta nell’articolo 53 del d.lgs. 165/2001, pur individuando, al comma 1, situazioni di incompatibilità assoluta, ammette, al comma 7, la possibilità di svolgere attività occasionali previa autorizzazione datoriale.

Questo generale regime autorizzatorio ha una ratio civilistica-lavoristica e pubblicistica, in quanto consentire al datore di valutare la compatibilità di tale attività extralavorativa con il corretto e puntuale espletamento, in modo terzo e imparziale, della prestazione contrattualmente dovuta dal lavoratore alla p.a., in ossequio anche al principio costituzionale di tendenziale esclusività (art. 98 Cost.) e di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).

La valutazione da compiersi in sede di autorizzazione si effettua tenendo conto della specifica professionalità del dipendente, avendo riguardo ai profili di incompatibilità sia di diritto, che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o “situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi”.

Come osservato dai giudici d’appello, l’impianto sanzionatorio posto a servizio dell’effettività dei meccanismi di autorizzazione degli incarichi extralavorativi è stato rafforzato dalla disciplina anticorruzione (legge 190/2012).

Il comma 7 dell’articolo 53 del d.lgs. 165/2001 prevede che, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni svolte in assenza dell’autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza del dipendente “deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.

Il comma 7-bis, introdotto dalla legge 190/2012, conferisce inoltre effettività a tale norma sancendo che il mancato versamento da parte del dipendente “indebito percettore”, costituisce ipotesi di responsabilità erariale.

L’illecito si consuma quindi in virtù di una doppia violazione dell’articolo 53 che, imponendo incondizionatamente per tutti i pubblici dipendenti la richiesta di autorizzazione a svolgere occasionali incarichi extralavorativi, determina, in sua assenza e senza alcuna ulteriore valutazione di legittimità o di merito, la illiceità comportamentale del dipendente, foriera della doverosa refusione degli importi percepiti da soggetti terzi al proprio datore di lavoro.

La doppia violazione da cui scaturisce la responsabilità risarcitoria per danno causato alla p.a. si concretizza quindi, da un lato, nello svolgimento di un’attività retribuita in assenza di richiesta di autorizzazione (condotta attiva) e, d’altro canto, nell’omesso versamento della somma percepita nelle casse della p.a. di appartenenza (condotta omissiva).

Questo principio è stato ribadito, di recente, anche dalla Sez. giurisd. Piemonte con la sentenza 78/2015.

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Giur. Sez. Appello, sent. n. 121

Si segnala il ns. seminario di studi “Personale: le novità per il 2015” in programma a Firenze il 10 luglio 2015.

 


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